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Wolf Eyes + Hiroshima Rocks Around: Roma, Init, 26 maggio 2010

Serata forse non impeccabile per i campioni statunitensi del free-noise "made in factory"

Wolf Eyes + Hiroshima Rocks Around

Roma, Init, 26 maggio 2010

live report

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wolf eyes live @ initIn una delle antologie degli scritti di L. Bangs pubblicate dalla Minimum Fax, lessi tempo fa una frase in cui si profetizzava all’incirca che in futuro – lo scritto risale ai ’70 –  la gente sarebbe diventata talmente snob da vantarsi di conoscere band di cui nessuno avrebbe mai sospettato l’esistenza. Forse starò travisando il senso di ciò che si intendeva dire, o magari distorcendolo solo un po’, ma il significato sostanziale di quella che era una delle invettive costanti di Bangs contro i circuiti underground era proprio questo: lo smascheramento dell’alienazione e dell’autoreclusione elitaria.

Non perché tale discorso debba applicarsi necessariamente e in maniera deterministica al concerto dei Wolf Eyes al solito Init, ma semplicemente perché quella frase è stata la prima cosa a venirmi in mente nell’arco della serata. E in effetti non è che i Wolf Eyes non li conosca proprio nessuno, anzi, sempre all’interno di quei circuiti sono attualmente considerati una delle realtà più interessanti, a detta della critica, del panorama free-noise/post-industrial statunitense e non; e anche a detta dei tantissimi ammiratori sparsi in tutto il mondo, forse anche in Italia (sono andato a vederli perché Human Animal, in particolar modo, m’era piaciuto molto).

Ma allora mi chiedo: perché al concerto c’era poca gente, o meglio: perché il “pubblico” arrivava a stento a cinquanta teste? E qui si potrebbe parlare a lungo dell’ignoranza degli italiani o della loro scarsa sensibilità verso ciò che c’è di più interessante nel mondo ecc. ecc. Tutti discorsi che hanno senso, in effetti: sta di fatto, però, che quella è stata l’impressione perduratami prima, dopo e durante l’esibizione.

Il punto è che, ascoltandoli dal vivo, tutte le opinioni che m’ero fatto sulla loro musica si sono come dileguate, o quantomeno ridimensionate. Non c’ho più visto, dentro, quell’originalità e quell’estro improvvisativo che m’era parso tanto devastante in studio. Discorso che però non vale per gli Hiroshima Rocks Around, i quali avevo già visto al Macro la serata in cui i Talibam! furono costretti a disertare per “diluvio”. Lì mi erano piaciuti tantissimo, cosa che non posso riconfermare, anche perché sono convinto che l’Init non fosse l’ambiente adatto (acusticamente parlando) per un ensemble ultranoise/free-jazz come quello.

Ad ogni modo le sorprese non sono mancate, e infatti dopo solo 2-3 “pezzi” ecco salire sul palco al loro fianco… (indovinate chi?): Matt Mottel dei Talibam!, quasi a farsi perdonare per quella maledetta sera in cui il duo più straordinario della Grande Mela dovette dar buca causa forza maggiore.

Tornando ai Wolf Eyes, e concludo, confermo qui l’idea che mi son fatto sul loro conto dopo averli visti/sentiti suonare: che cioè la loro proposta non differisca molto da quella inaugurata più di trent’anni fa dai Throbbing Gristle o da tutti gli altri gruppi industrial della prima ora; per non dire che l’abbiano proprio ricalcata pedestremente.

E spero tantissimo, per loro, che non fosse serata.

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