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Visconti: recensione di Boy di Ferro

L'urgenza comunicativa del post-punk revival, declinazioni jungle e IDM, passando per l'energia alt-rock degli anni 90 e le controversie emotive dell'oggi: questo e tanto altro nel nuovo album di Visconti, Boy di Ferro.

Visconti

Boy di Ferro

(Dischi Sotterranei, La Tempesta Dischi)

it-pop cantautorale, post-punk, slack folk, punk-gaze, jungle, kraut, brit-wave, indie, shoegaze, drum’n’bass, IDM, dark ballad

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A due anni di distanza dall’esordio discografico con l’album DPCM, e con alle spalle un’intensa attività live in giro per l’Italia che lo ha visto aprire per artisti come Verdena, Fulminacci e Fine Before You Came, il 24enne cantautore Valerio Visconti – in arte Visconti – manda alle stampe il suo secondo lavoro in studio intitolato Boy di Ferro, prodotto da Fight Pausa e pubblicato per Dischi Sotterranei e La Tempesta Dischi.

Anticipato dall’uscita dei singoli Wandervogel, Salsa Rosa, Disordine, Battesimo Oscuro e Sotto Trema, Boy di Ferro è un disco che, in virtù di contenuti autobiografici, nasce dall’esigenza, da parte di Visconti, di raccontare il proprio vissuto e registrare gli effetti delle esperienze in divenire, attraverso un’abilità cantautorale carica di pathos e dal linguaggio poetico, naïf, cinico, disilluso ed ermetico: “espressività annoiata e quasi trap”, come l’ha definita lo stesso musicista.

La parabola di un’evoluzione personale che è conseguenza dei viaggi migratori verso i cambiamenti dell’età adulta: quel famoso “battesimo oscuro” che prima o poi tocca a tutti gli esseri umani. Focalizzandosi sulla natura dualistica e binaria che caratterizza il ritmo dell’universo, le dieci tracce di Boy di Ferro diventano il mezzo creativo e (auto)analitico per esorcizzare alcuni aspetti dolorosi della realtà, tra cui certi conflitti interiori come la paura della solitudine (Ascendente, Disordine), la ricerca della propria identità, le ansie da prestazione nella società dell’apparire, le controversie emotive legate alle fragili promesse sentimentali e tutta quella serie di incomprensioni che si riflettono nel modo in cui ci relazioniamo a noi stessi e agli altri.

Così, percorrendo quella linea invisibile che unisce ambizione, conoscenza e redenzione, l’attenzione testuale indugia su storie di vampirismo sociale (Wandervogel), di giungle metropolitane e percezioni distorte della contemporaneità (Girotondo), di mal di vivere e dell’inafferrabilità del tempo (“scolpire tempo che a volte non passa, e se passa è troppo veloce”), di individui convertiti in merce di scambio per algoritmi e produttività (“vivo e morto nella stessa tomba”).

Un pessimismo esistenziale che, nonostante lo strascico irrazionale che segue la fine di una relazione e gli angoli bruciati delle aspettative (Salsa Rosa), trova il suo contraltare positivo nella speranza incosciente di chi è pronto a concedersi la possibilità di rifiorire, come un glicine di pasoliniana memoria, e tornare a fidarsi delle geometrie complesse dell’amore. “Basta solo non divorarsi in fretta, in libidine disciolta in aspirina”, come suggerisce lo stesso Visconti nel testo di CTIPP.

Ecco, dunque, che i periodi difficili si trasformano in motivazione per scandagliare nuove opportunità (“e non voglio seppellire, i miei pugnali dissidenti”), giocando con quel concetto di armatura, di scudo (il titolo della release mutua il nome dal nickname che l’artista utilizza nel videogame Minecraft), come un qualcosa che si può guadagnare dopo aver superato una dura prova.

Per quanto riguarda invece la metrica strumentale, tanto nel climax immersivo quanto nella sua ibridazione stilistica, Visconti esprime tutto il suo potenziale pop-sperimentale coniugando lo slancio stimolante del rinnovamento e l’influenza che può esercitare un fattore come la nostalgia: si va dalla dirompente urgenza comunicativa del post-punk revival (divenuto negli ultimi anni riserva di caccia per gli standard commerciali del music business) a declinazioni jungle e IDM dell’elettronica, passando per il riverbero energico di quel collettivismo alt-rock degli anni 90 che, di lì a poco, avrebbe indossato i panni borghesi dell’indie rock.

Frenetiche atmosfere di tastiere si intrecciano a convulsioni drum’n’bass facendo immaginare una crasi tra l’ambient IDM di Porches e lo sperimentalismo del David Bowie di Little Wonder, mentre si susseguono il sinuoso e palpitante groove elettro-funk di Sotto Trema (vedi L’Arte Dei Miscugli dei Bluvertigo e Policy Of Truth dei Depeche Mode) e il ronzio di chitarre punk dal taglio radiofonico, fino a evadere nella memoria agrodolce di sentieri brit-folk (Ascendente). Senza dimenticare riverberi shoegaze a tinte gdalle tonalità cupe, frizzanti giocosità indie (Disordine) e un turbamento vocale dal timbro profondo, oscuro, narcotico e depresso in stile “anniottanta”, a metà tra Garbo e Post Nebbia.

In conclusione, si può dire che in questo bricolage di suoni contrastanti e inquietudini della generazione zeta, Visconti riesce ad elaborare un accattivante crossover di parti elettroniche, bile punk ed enfasi del post-punk, cercando una corrispondenza obliqua tra passato e attualità, umanità e robotica, provincia e metropoli, divertissement noir e disperazione, con la certezza che non invecchieremo mai profumati di canfora.

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