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Upupayãma: recensione di The Golden Pond

Con The Golden Pond, Alessio Ferrari - in arte Upupayãma - riesce a consolidare il suo estro stilistico e a rimodellare quelle doti scritturali già fortemente radicate nelle musiche popolari del sud-est asiatico e negli echi di quella psichedelia blues degli anni '60.

Upupayãma

The Golden Pond

(Cardinal Fuzz, Centripetal Force)

psych blues, prog rock, raga rock

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Upupayāma_The Golden PondA distanza di due anni dall’esordio omonimo, il polistrumentista Alessio Ferrari – in arte Upupayãma – manda alle stampe il suo sophomore album intitolato The Golden Pond, edito via Cardinal Fuzz per Europa e Regno Unito e Centripetal Force per il Nordamerica.

Quello avviato dal poliedrico artista parmense sotto il monicker di Upupayãma – pseudonimo che nasce dalla fusione tra elementi incompatibili come l’uccello upupa e l’habitat della montagna (yãma in giapponese) – è un progetto artigianale one-man-band dai confini dilatati e dai linguaggi eterogenei, che amplifica i suoi campi percettivi grazie all’utilizzo di strumenti non convenzionali come sitar, erhu e flauto, attraverso una formula meticcia in grado di sprigionare un intenso bouqi di suoni e atmosfere multisensoriali.

Una vocazione compositiva che Alessio Ferrari sviluppa sulla scia di un esilio volontario, sulle placide sponde di quel piccolo lago vicino alla sua casa di montagna (sito nell’Appennino parmense, sua terra d’origine), proiettandosi all’interno di una trasposizione estetico-nipponica (come raffigurato nell’artwork) e di una profonda retrospettiva strumentale, quasi a voler intrecciare realtà alternative, così contrastanti ma anche così simili, e farle convivere pacificamente in uno spazio armonico senza coordinate di longitudine e latitudine.

The Golden Pond è la fisiologica continuazione di un pellegrinaggio trascendentale attraverso il quale, coniugando sensibilità esplorativa e maturità autorale, Upupayãma spia se stesso e la vita che scorre, gettando minuscoli sassi nel suo stagno d’oro per suscitare onde concentriche che si allargano sia sulla superficie sia in profondità, riuscendo a consolidare il suo estro stilistico e, al contempo, a rimodellare quelle doti scritturali già fortemente radicate nelle musiche popolari del sud-est asiatico e negli echi di quella psichedelia blues degli anni ’60 che rimanda a Peter Green.

 

Immaginando, così, una sorta di jam session immersiva tra il rock lisergico dei Grateful Dead, certo percussionismo etnico-afrobeat, il kraut-funky dei Kikagaku Moyo, le frenesie ritmiche del prog seventies e la polifonia spirituale di Ravi Shankar, Upupayãma asseconda – con la delicatezza teatrale che contraddistingue la cultura orientale – la musicalità delle sue composizioni, combinando vocalità litaniche, testi inventati ed ambientazioni magiche all’interno delle nove tracce della release.

“Voglio che il mio incorporare il linguaggio inventato sia un modo per abbattere le barriere che a volte sono create dal linguaggio stesso, dovendo definire qualcosa a tutti i costi”, come ha spiegato Alessio Ferrari nel comunicato stampa.

The Golden Pond si raccoglie tra le pennellate umorali di un affresco visionario, coinvolgendo suoni, immagini, analogie, ricordi e sogni curativi, in un movimento che interessa l’esperienza, la memoria, la fantasia, l’inconscio e una forza incrollabile forgiata dalle difficili battaglie quotidiane.

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