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Tortoise: live report (Roma, 25 novembre 2009)

Una serata intelligentemente noisa, quella del concerto al "Circolo" dei Tortoise. Tra virtuosissmi fini a sé stessi e sinceri lampi di genio

Tortoise

Roma, Circolo degli Artisti, 25 novembre 2009

live report

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Foto di "Studio Koku", tratta da Flickr
Foto di "Studio Koku", tratta da Flickr

I Tortoise sono una band di grandi strumentisti … E questo lo si sapeva. Si conosceva, anche, qual è stato il loro ruolo all’interno della musica rock; e la loro importanza può risultare facilmente accostabile a quella di gente come Slint o Codeine, per esempio. La loro storia (non è possibile qui rispolverarla per questioni esoteriche…) è fatta di omicidi. E la povera preda non è stato nient’altro – come nel caso delle band di sopra – che il rock stesso. Ucciderlo per poi riesumarlo.

E ci sono anche riusciti, tra l’altro; ma è inverosimile pensare che si tratti proprio della stessa cosa. Sta di fatto che la loro musica è pensabile come quanto di più immancabilmente vicino all’avanguardia, e forse, di tutta la famiglia del post-rock, quella con un impatto più marcatamente progressive.

Dal vivo, quindi, ci si poteva aspettare di tutto: l’età media del pubblico oscillava (più o meno) intorno ai quaranta, e non ricordo di aver mai visto così tanti occhialuti ad un qualsiasi concerto – pensa un po’, addirittura neanche al Circolo stesso. Ma il mio arrivo intempestivo certamente non avrà infastidito nessuno, né tantomeno l’impressionante (non per mole, ma per “impatto”) ensemble di polistrumentisti scafati già presenti sul palco (non avevo neanche mai visto una band tanto puntuale).

In effetti il loro approccio al genere sembrava più quello di venerandi jazzisti, piuttosto che di cinque scalmanati o cazzoni un po’ attempatelli. Ma che dico: potevano esser scambiati benissimo per delle cere. In realtà la loro impassibilità era pari solo a quella dei Kraftwerk, ma non per questo l’entusiasmo del pubblico pagante è stato da meno. Nella stasi metafisica menavan giù note a profusione, avvicendandosi sugli strumenti (apparentemente) senza soluzione di continuità. Così la noia poteva alimentarsi parallelamente al ripetersi delle tastiere prog – quasi vintage nella ricercatezza di certe sonorità/formalità programmaticamente seventies – e scemare saltuariamente grazie ad improvvisi lampi di genio, a mostrare effettivamente di che pasta sono fatti i Tortoise.

E così via all’infinito: ma la cosa più sconvolgente, in fin dei conti, penso sia stata l’incredibile ambivalenza di fondo della serata. Da una parte, una band priva di ispirazione, capace soltanto di suonare autisticamente brani lunghissimi senza pathos; dall’altra, un gruppo di musicisti esperti, abilissimi nel sorprendere lo spettatore con trovate illuminanti – degne della caratura artistica di cui, tutto sommato, son portatori sani.

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