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Tony Hadley: recensione concerto del 18 luglio 2014, Varallo Sesia (VC)

Oggi Tony Hadley è un signore attempato che non riempie più gli stadi, ma è comunque un grandissimo interprete. Il suo concerto è sì un "amarcord", ma con classe ed eleganza da vendere

Tony Hadley

18 luglio 2014, Varallo Sesia (VC)

live report

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recensione-concerto-tony-hadleyLa piazza di Varallo si riempie lentamente, abbracciata dalle montagne e dagli stand di venditori di formaggi e pentole a pressione. Accanto a me in prima fila c’è una signora sulla settantina comodamente seduta su una di quelle seggioline pieghevoli da campeggio e una coppia di mezza età che dopo venti minuti di attesa si allontana per prendere un gelato.

Un’ora e mezza più tardi, sono passate da poco le 21:00, Tony Hadley e la sua band prenderanno il palco.

Nell’audience gli occhi lucidi si alternano a commenti di ascoltatori distratti che sono lì soltanto perché l’ingresso è gratuito, “Guarda com’è diventato…”.

E in effetti è l’amarcord ad avvolgere il pubblico quando, sulle note di I’ll Fly For You, le reminiscenze del glorioso passato fanno intenerire anche il vicino Sacro Monte che discreto e compito scruta dall’alto. Una sensazione del genere mi era capitata soltanto molti anni fa al concerto di Art Garfunkel a Roma, da lui stesso certificata durante Homeward Bound con la strofa modificata “tonight I’ll sing his songs again…”.

Certo, è pop. Ma di buon livello.

Siamo in pochi a conoscere le parole delle canzoni e a cantarle con Tony, che ogni tanto viene dalla mia parte e mi alza il pollice. Però le persone sorridono tutte e fanno andare la testa al ritmo della musica.

Only When You Live e To Cut A Long Story Short sono come un buon tè earl gray alle cinque del pomeriggio e sanno di “già sentite” perfino per la mia nuova compagna di sudore condiviso gomito a gomito e zanzare, una sessantenne mal tenuta con lunghi capelli ricci color platino.

“Se c’è una persona che amate e alla quale tenete particolarmente questo è il momento di abbracciarla”, avverte Tony Hadley prima della dolcissima True il cui refrain è, stavolta sì, intonato dalle primissime file. L’artista londinese si lancia in un traballante italiano “Belissima canzone… Bravissimo cantanti…”.

Tony si lascia definitivamente andare con With Or Without You, il suo brano preferito degli U2, riproposto con la solita classe che lo contraddistingue.

E poi arriva il momento. La canzone che ho ascoltato migliaia di volte, prima nel walkman e poi nell’iPod. La canzone che mi ha aiutato e supportato prima di appuntamenti importanti e dopo delusioni cocenti. La canzone scritta da Gary Kemp nel 1986 che non parla di una coppia di Belfast ma di me. Una lacrimuccia cade quando Tony è lì a pochi metri ad intonare “Oh turn around and I’ll be there, there’s a scar right through my heart but I’ll bare it again, I thought we were the human race, but we were just another borderline case, and the stars reach down and tell us there’s always one escape”. Anche la composta Varallo è saltata oltre le barricate (Trough the Barricades).

L’esibizione prosegue, Tony continua a ripetere “Cheers, salute…” e a chiedere un altro drink. Gli portano una lattina di birra. Ogni tanto si lascia andare a qualche gorgheggio dissacrante e poi scambia uno sguardo divertito con i musicisti. Ma la sua voce non traballa mai e riesce indifferentemente ad essere solida come una quercia o sottile come un arbusto. La mattina seguente me lo conferma anche la ragazza che vende salami bresciani in uno stand sulla via principale “Ero qui a lavorare e non potevo vedere il palco, però sentivo bene la voce. Cavolo, è bravissimo e canta da dio!”. Già, anche quando buona parte della piazza ha urlato al suo posto “Gold, gold” e lui ha sorriso prima di chiudere il chorus “you’re indestructible, always believe in”.

Venticinque anni fa, madonna come passa il tempo, non avrei mai potuto cenare al ristorante e, un’ora e mezza prima dell’inizio dello show, avvicinarmi con un frozen yogurt in mano alla transenna sotto lo stage degli Spandau Ballet. Letteralmente impossibile. Stasera invece, dopo lo show, riesco addirittura a farmi fare un autografo. Tony è sudato nella sua suit scura, ha un bicchiere di vino rosso in mano, mi abbraccia e si mette in posa per la foto.

“Lui si è fatto un goccetto di troppo, si vede dagli occhi e dalla pelle grassa. Tu sei in piena trance mistica per aver visto Nostro Signore della Musica Vera. E già sai che ti punirà per aver seguito gli Spandau Ballet. Gli Spandau Ballet, signori miei. Pentiti finché sei in tempo!”, è il commento più sagace al mio post su Facebook.

Si potrebbero citare in replica decine di artisti sopravvalutati e incensati dalla critica o incredibilmente amati dal pubblico senza una vera ragione musicale. Ma non li citerò. Perché è sufficiente dire che a volte può essere preferibile un romanzo leggero a Joyce o Kerouac o che a volte può essere preferibile una commedia magari addirittura romantica a Quentin Tarantino, sorseggiando Coca Zero e lasciando il Barolo in cantina. È, il più delle volte, puro intrattenimento; certamente non lesa maestà. È intermezzo, carosello o come altro lo si voglia chiamare. Ma parimenti godibile.

Gli Ottanta sono stati dei paninari, degli yuppies, dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Tony Hadley e Simon Le Bon sono stati più importanti e più celebri di Ronald Reagan. Sociologia applicata al marketing più che musica? Può darsi. Ma perché, le band dei Sessanta cosa facevano? Per non parlare poi di quelle del nuovo millennio.

Chi non ha seguito la carriera solista di Hadley sarà certamente rimasto sorpreso per la cover di Rio degli storici rivali – almeno per il gossip di allora: Cioè, Ciao 2001, ecc.- i glitterati e laccatissimi Duran Duran. Avrei preferito che facesse Save A Prayer, ma va bene così.

Oggi Tony Hadley è un signore attempato che non riempie più gli stadi (ma se tornassero gli Spandau Ballet uh, chissà…), che non ha più stuoli di ragazzine con i reggiseni in mano ad attenderlo fuori dall’hotel, che si esibisce con nostalgia e senza prendersi particolarmente sul serio dicendo ai bambini in prima fila che accompagnano i genitori “Who is Tony Hadley? Just sleep, I don’t mind”. È un grandissimo interprete la cui voce è sprecata per Round And Round, che punta sull’amarcord e sul mestiere, ma forse con poco carisma e troppo orgoglio per essere un front-man in questa nuova era mariadefilippiana che dir si voglia. La sua, probabilmente, è la rappresentazione parabolica di un decadentismo inevitabile ma dignitoso ed elegante. Persona distinta, affabile, finemente vestita, con un’ugola da fuoriclasse. Che a me affascina da morire. Solo quel qualche bicchiere di vino in più, nelle serate moralmente un po’ così sebbene la piazza sia piena e lo osanni, lascia trasparire il “so true” dietro le storyboard.

 

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