The Whitest Boy Alive
Rules
(Cd, Bubbles)
pop
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Ma chi l’ha detto che la musica, per riuscire a conquistare, deve essere per forza passionale, coinvolgente, sofferta? A volte capita esattamente l’opposto: una melodia fa innamorare di sé perché è volutamente fredda, metodica, distaccata. È quello che succede con Rules, secondo lavoro dei The Whitest Boy Alive, band guidata da Erlend Øye, ex membro dei King Of Convenience.
Undici brani in cui i sintetizzatori emettono, con implacabile costanza, suoni puliti, geometrici, asetticamente seriali, in bilico tra una tenue elettronica e una patina easy listening. Non l’immedesimazione, ma lo straniamento è l’attitudine che cui la band berlinese esegue i pezzi; e la buona riuscita dell’album va attribuita proprio a questa indole monotona e cerebrale, che permette ai pezzi di conficcarsi, con progressiva lentezza, nei neuroni dell’ascoltatore.
Perfetto emblema dello spirito di Rules è Timebomb, martellante ai limiti dell’esasperazione: un refrain paranoico viene ripreso, poco per volta, da tutti gli strumenti, fino a creare un’ossessiva e straniante melodia. 1517, invece, è caratterizzata da un piglio decisamente rock, dato da una ripetitiva chitarra elettrica che si innesta su una base costituita da suoni robotici. In Gravity, invece, emerge in misura maggiore rispetto agli altri brani il contrasto su cui poggia tutto l’album, ovvero quello tra sicurezza data dalla ripetitività della melodia, e la desolazione, l’asciuttezza, l’inquietudine dei suoni sintetici, scarnificati e prosciugati nella loro essenzialità.
Non è necessario strappare una lacrima o far battere il cuore per convincere. A volte il fascino può nascondersi nella semplicità di una melodia sincera e costruita con intelligenza, e Rules dimostra quanto questa formula possa portare a risultati eccellenti.
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