The Pains Of Being Pure At Heart
Roma, 24 novembre 2010, Circolo degli Artisti
live report
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The Pains of Being Pure At Heart, la band osannata da Pitchfork, e di conseguenza da tutte quelle persone leggermente sotto peso che vestono con pantaloni attillati e che portano grandi occhiali da vista nonostante abbiano 10/10 per occhio, ha creato scompiglio la notte tra il 24 ed il 25 novembre a Roma, suonando al Circolo degli Artisti.
Raggiungere la meta del concerto come al solito non è stata un’impresa; lo è stato tuttavia trovare parcheggio. Ma questa è una costante del Circolo, è risaputo che mezz’ora di giri con la macchina per trovare un posto è compresa nel prezzo del biglietto.
Il concerto non inizia prima delle 22.30, con un certo ritardo quindi rispetto all’orario scritto sul biglietto (21.00). Salgono sul palco i cinque newyorkesi, cinque spettacolari stereotipi (i soliti: pantaloni stretti, polo a righe etc). La prima domanda che ci si pone è per quale motivo questi cinque ragazzi non mangino. Insomma, il loro debut album ha incassato abbastanza, per non dire molto, quindi non crediamo sia una questione di soldi. Oltretutto è impressionante l’alone di anonimato che riveste i componenti della band, che sembrano quattro ragazzini strappati dal loro Starbucks e messi a suonare su un palco.
Il sound dei Pains dal vivo è leggermente più “corposo” che sul disco, forse grazie a un chitarrista aggiunto e nonostante basso e tastiera praticamente non si sentano.
Quando però parte This Love is Fucking Right li riconosciamo al volo. Già, sono proprio loro, i Pains. Qualcuno ha protestato, insinuando che fossero i Field Mice leggermente più distorti e caciaroni, ma si trattava dei soliti tendenziosi.
Il problema è stato però che tutto il concerto si è svolto su questa falsariga: ogni brano suonato dei newyorkesi ricordava il brano di un’altra band (Cure e Smiths su tutti), o addirittura un’altra loro canzone!
Ed è questo paradossalmente il punto di forza e quello di debolezza non della band, ma del genere. Perchè questo indie pop dalle sognanti atmosfere shoegaze viene propinato alle nostre orecchie da oltre vent’anni, e negli ultimi tempi ha cominciato pesantemente a ristagnare in canoni e stilemi che, se da una parte sono un quasi assicurato successo commerciale, dall’altra lasciano un po’ di perplessità.
Insomma, i più critici tra gli pseudo-critici non riescono a mandarla proprio giù questa pappa già pronta.
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