The Notwist
Close To The Glass
(City Slang/Sub Pop)
indietronica
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Li avevamo lasciati nel 2008 con l’ultimo disco in studio (il mediocre The Devil, You + Me, album che ha segnato un po’ il limite di questo gruppo tedesco) ed ecco che i Notwist, capeggiati dai fratelli Markus e Michael Acher tornano a far parlare di sé. L’anno successivo avevano anche firmato la colonna sonora di Storm, un film del connazionale regista Hans-Christian Schmid.
Il 2014 segna quindi il grande ritorno sulle scene: sia per quanto riguarda quella discografica con un album nuovo, Close To The Glass, sia per quella live, con un tour che toccherà anche l’Italia in 5 date (cfr calendario concerti).
Partiti da radici grunge e hardcore, i Notwist sono una delle pochissime band che ha avuto il coraggio di cambiare radicalmente il proprio suono, spostandosi verso l’elettronica e il pop, aggiungendo tocchi folk e ammiccamenti indie. Il connubio perfetto risale al 2002, a quel Neon Golden che aveva messo d’accordo pubblico e critica, stabilendo le coordinate per l’indietronica del 2000.
Il parallelo obbligato è quello con i Radiohead, partiti dall’alternative rock americano e dal brit pop e finiti poi per sperimentare con l’elettronica. Close To The Glass ricorda infatti molto lo stile e le sonorità del gruppo di Thom Yorke, ma risultando comunque meno artificiali.
Il nuovo lavoro dei Notwist si pone già dall’inizio come un classico album di transizione, dove il gruppo tedesco cerca da un lato di staccarsi dal vecchio suono (ballate orchestrali) per approdare ad un sound più focalizzato sul versante elettronico.
Signals inizia infatti con beat digitali seguiti da glitch e loop vari. La voce è l’unica cosa umana di questo mondo robotico. Altra testimonianza è il beat ossessivo della traccia omonima, tra voci modificate e campionamenti, con una vena di alienazione data dall’elettronica in sottofondo (il paragone con i Radiohead è più evidente). Della stessa pasta è fatta Into Another Tune, per voci filtrate, archi campionati e loop.
Le tracce e i legami con il passato rimangono comunque evidenti in questo disco della band tedesca: se da una parte in Kong assistiamo all’indie ritmato, radiofonico e mainstream, dall’altra in Run Run Run e They Follow Me vengono a galla le melodie nostalgiche che si combinano con suoni elettronici vintage. Stesso discorso per le orchestrazioni nella ballata malinconica di Casino (dalla melodia comunque banale), e nel folk delicato di Steppin’ In.
Tra passato e futuro trovano spazio la pallida imitazione delle chitarre shoegaze dei My Bloody Valentine in Seven Hour Drive, e l’inspiegabile intermezzo The Fifth Quarter Of The Globe.
Il lo-fi di From One Wrong Place To The Next rappresenta forse più di tutte il nuovo percorso che intraprenderanno i Notwist: drum ‘n’ bass liquido, segnali radio, glitch, loop ed effetti krauti, all’insegna dello sperimentalismo più sfrenato, accantonando difatti orchestrazioni, folk, pop e venature indie. Da rinviare invece l’idea di inserire una traccia come Lineri, interamente strumentale, che fonde l’elettronica più liquida con quella più claustrofobica, e che si snoda in sentieri ambient con stralunati effetti nel finale.
Nonostante questo brano sia apprezzabile (come molti altri del resto) rimane la sensazione che i Notwist stiano ancora cercando il sound giusto, magari per ripetere l’impresa riuscita con Neon Golden. Close To The Glass paga difatti per la sua dispersività.
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