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The Mars Volta: recensione disco omonimo (2022)

Al nono lavoro, omonimo, i The Mars Volta si danno una calmata e mettono su disco una manciata di brani dall'atmosfera più che rilassata.

The Mars Volta

s/t

(Cloud Hill Ada)

rock

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Non si può assolutamente dire che Omar Rodriguez Lopez e Cedrix Bixler Zavala siano artisti a cui piace stare con le mani in mano. Questi musicisti, fortunatamente, non hanno paura ad osare e, conseguentemente, ad intraprendere strade che possono rivelarsi rischiose e pericolose.

Da quando hanno deciso di far cessare quella strepitosa band che erano gli At The Drive-In, i due hanno creato i The Mars Volta con cui hanno dato sfogo a tutta la loro immane creatività.

Dopo otto album, arriva sul finire di quest’estate il nono capitolo della saga, dal titolo più semplice possibile (The Mars Volta), ma dalla definizione artistica più spiazzante che ci possa essere.

In primo luogo è opportuno fare una premessa fondamentale. Se qualcuno aspetta di trovarsi qui dentro qualcosa di avvicinabile al rock selvaggio, ma anche a quello più tradizionale, possiamo dire che ha decisamente sbagliato strada.

È, dunque, giusto dire subito le cose come stanno, perché altrimenti si potrebbe deludere chi spera di scovare qualcosa di energico e pesante. In realtà, in questo nono episodio della saga, le atmosfere sono totalmente rilassate. Sembra quasi di trovarsi dinnanzi a musica costruita per colonne sonore di film d’amore o per essere ascoltata su una spiaggia caraibica sotto l’ombrellone e con un drink ghiacciato tra le mani.

Le influenze di Santana sono abbastanza palesi, così come l’attitudine tipica della bossa nova che non è celata in alcun modo.

Le canzoni, dall’ottima Blacklight Shine a Blank Condolences, risultano essere di rilievo, perché sono melodiche, raffinate e ben costruite.

Non vi sono, però, variazioni sul tema, nel senso che il disco suona così dall’inizio alla fine e la voce monocorde di Zavala, che in alcuni casi prova ad imitare l’ultimo John Lennon, non aiuta in alcun modo a un cambio di passo che sarebbe stato opportuno, quantomeno, provare.

 

Però, questo non può essere negato, la qualità dei brani, alcuni dei quali sembrano essere legati l’uno con l’altro, non manca e già questo aspetto promuove di per sé l’album.

Sembra quasi di ascoltare la versione allegra e meno malinconica di Sea Change di Beck, disco che all’epoca fece positivamente scalpore, nonostante la sua insita malinconia.

Alla fine dei conti, se uno è in viaggio e deve affrontare lunghe tratte, The Mars Volta è uno di quei lavori che calza a pennello per essere ascoltato senza impegno. Non disturba, non è rumoroso, può essere apprezzato da chi ci sta a fianco ed aiuta a distendere i nervi. Di questi tempi non è poco.

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Francesco Brunale
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