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The Doormen: recensione disco omonimo

I ravennati The Doormen hanno pubblicato il loro primo omonimo album. Beh, di loro c'è ben poco, visto che sembra di ascoltare il disco di una qualsiasi band inglese dei primi anni '80. Tutto questo per la serie "post-punk revival"...

The Doormen

s/t

(Cd, Studio 73)

post-punk revival

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the-doormen-cover-Siamo in Italia: “chisto è ‘o paese d’ ‘o sole, chisto è ‘o paese d’ ‘o mare“! Il belpaese della dolcevita, dell’amore, e del buon cibo! Il paese degli artisti e degli inventori, degli scienziati e dei grandi navigatori. Il paese dell’arte, della cultura, della storia. Eh… la storia.

Un gloriosissimo passato, un non troppo edificante presente e… un impietoso futuro?

Di doman non c’è certezza, ma sul presente qualche speculazione possiamo farla. In particolare possiamo parlare dei Doormen, band di Ravenna che ha dato alla luce il suo primo long playing quest’anno. The Doormen è un disco pulito e curato sotto ogni particolare, che prende spunto dal post-punk più oscuro, quella new wave anni ’80 provocata prima dai Joy Division e poi cavalcata da band come The Chameleons, The Sound, Cure, Bauhaus & co.  Dopo trent’anni tornano a galla gli stessi suoni, le stesse tematiche, che si riallacciano a quelle lanciate non troppi anni fa da band come Interpol, Editors e White Lies.

Rileggendo questa recensione una cosa deve per forza saltare agli occhi: la sfilza di nomi che si sono susseguiti in queste poche righe. Joy Division, The Chameleons, The Sound, Cure, Bahuhaus, Interpol, Editors, White Lies.

E fondamentalmente è questo il problema; i Doormen sono derivativi fino all’inverosimile. Suoni, testi, produzione, mood, tutto quanto deriva fortemente da qualcos’altro già pre esistente decine di anni prima! Non si chiede certo la luna quando si vuole un po’ di innovazione… non ci si aspetta concettualmente un Captain Beefheart dei giorni nostri, ma neanche la fotocopia degli Interpol.

In se il disco non è malvagio, anzi è godibile. Ma di interessante c’è davvero poco, di indimenticabile assolutamente nulla. Manca di originalità, di forza, di cuore e di sangue; manca di tutte quelle peculiarità fondamentali per il genere. Sì, una vaga traccia di originalità si può rintracciare in qualche sporadica spolveratina post-rock, ma la solfa è sempre la solita, riscaldatissima minestra.

Per concludere; non è tutto da buttare quello che c’è dentro quest’album, anzi sembra essere un’ottima e solida base su cui costruire qualcosa di buono. Ma la copia spudorata, quella vi prego NO!

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Stefano Ribeca
Stefano Ribeca

Giovane bello ed intelligente.

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