AdBlock Detected

Stai usando un'estensione per bloccare la pubblicità.

RockShock.it dal 2002 pubblica contenuti gratuitamente e ha la pubblicità come unica fonte di sostentamento. Disabilità il tuo ad block per continuare.

The Black Angels: Directions to See a Ghost

Date un’occhiata alla copertina, riflettete un secondo sul titolo dell’album (vi dicono niente i Velvet Underground?) e capirete da soli ciò che vi aspetta

The Black Angels

Directions to See a Ghost

(Cd, Light in the Attic record, 2008)

psichedelia, rock

_______________

directions-bigSecondo album in studio per i texani The Black Angels, band di recente formazione (2004) ma caratterizzata da un suono che pesca a piene mani negli anni della rivoluzione, musicale e non. Directions to see a ghost dimostra come l’amore per i suoni psichedelici degli anni ’60-’70 sia ancora ben radicato negli animi dei più giovani, nonostante il progresso ci spinga verso l’elettronica e la ricerca di sonorità più da terzo millennio.

Ma non c’è solo la psichedelia in queste undici tracce: al di là dell’influenza dei portabandiera del genere, dai più datati Doors e Grateful Dead, fino ai più recenti e di nuovo in attività Kula Shaker, c’è anche il rock, fortemente sostenuto dalle chitarre, sempre in primo piano, e da una sezione ritmica che in brani come Mission District vira quasi al blues. Il tutto condito dalla voce di Alex Maas, ipnotica e onirica, perfetta per far perdere l’ascoltatore in atmosfere rarefatte e dilatate.

In questo album sono presenti due tipologie di brani in pieno stile flower-power. La prima, rappresentata da Deer-Ree-Shee, è quella che vede l’incursione delle sonorità indiane per mezzo del sitar, strumento principe della tradizione orientale, presente in tempi non sospetti e riportato agli onori della cronaca a metà degli anni ’90 con i già citati Kula Shaker.

La seconda, invece, è rappresentata dal brano extra-long. Un assaggio ci viene dato dagli otto minuti di Never-ever, in cui la voce effettata si fonde con le tastiere, e in particolare con una splendida linea di basso, che però impallidiscono di fronte ai sedici del pezzo di chiusura, Snake in the grass che, lasciatemelo dire, musicalmente mi ha riportato alla mente Everything counts dei Depeche Mode (a dimostrazione del fatto che strizzare l’occhio al passato non vuol dire chiudere la porta in faccia a un pizzico di modernità). Un totale di circa 24 minuti, i più belli e meno scontati dell’album.

Detto questo, gli appassionati del genere non potranno farsi scappare un così bel cd, magistralmente suonato e cantato da questa band di Austin che ha saputo reinterpretare sonorità che non passano mai di moda.

Gli ultimi articoli di Simona Fusetta

Condivi sui social network:
Simona Fusetta
Simona Fusetta
Articoli: 397