A volte sembra che sul capo dei fondatori delle rock band aleggi un’aura di mistero, quasi di maledizione. Da John Frusciante a Brian Jones, passando per Glen Matlock, dei Sex Pistols a Zayn Malik degli One Direction. Come dimenticare poi Peter Gabriel dei Genesis.
Nella musica come nella vita sono passati lasciando il segno per la creatività, il carisma e, perché no, anche per la loro follia al limite della normalità.
Tra gli artisti che hanno certamente segnato una generazione, un posto importante è riservato al fondatore dei Pink Floyd, Syd Barrett. Per la sua musica psichedelica oltre che per il suo modo visionario che lo portò sull’orlo della follia.
Syd morì il 7 luglio di quattordici anni fa (2006) per una malattia incurabile, ma la notizia ufficiale fu diffusa solo tre giorni dopo, il giorno 11; il giorno seguente, durante un concerto a Lucca, l’omaggio di Roger Waters; durante l’esecuzione di Wish You Were Here (brano già in origine a lui dedicato). Waters fece in modo che apparissero sul maxischermo le immagini della prima formazione dei Pink Floyd.
Parlare dei Pink Floyd e del suo stesso nome non può prescindere da Syd; quando gli chiesero il motivo rispose che era stato ispirato dagli alieni. In realtà il nome fu dettato da due musicisti che Barrett amava molto: Pink Anderson e Floyd Council.
I suoi problemi fisici e l’eccesso di droghe lo resero sempre meno controllabile, tant’è che fu leader del gruppo dal ’65 al ’68, quando abbandonò la band per seri problemi mentali.
Molto si è discusso sulle origini e le cause dei problemi di Barrett. In un primo momento si parlò di epilessia, passando poi a schizofrenia o bipolarità. C’è, tuttavia, un’ultima ipotesi, di recente formulazione; essa vedeva il britannico soffrire di sindrome di Asperger, una forma imparentata all’autismo che non compromette intelligenza e comprensione.
Emblematica la circostanza avvenuta nel 1975. Syd si presentò presso gli studi di registrazione degli ex compagni. Era glabro, ingrassato e biascicava le parole. Era praticamente irriconoscibile. I membri del gruppo restarono basiti mentre Waters scoppiò a piangere.
Come se nulla fosse, Syd confortò l’amico e per il resto del tempo si intrattenne in conversazioni languide e distratte. Era chiaro ai presenti che con la mente l’ex-cantante era sempre “altrove”.
Certo è che con l’ingresso ufficiale di David Gilmour nel 1968 la sua presenza divenne sempre più marginale fino all’abbandono nel 6 aprile dello stesso anno.
Dal 1965 fino alla data della separazione definitiva, quando fu costretto all’isolamento, due furono gli album realizzati dai Pink Floyd con Syd Barrett: The Piper at the Gates of Dawn e A Saucerful of Secrets.
Il primo fu sotto la sua completa direzione (lo si nota nei numerosi passaggi psichedelici) mentre il secondo vide la sua partecipazione in soli 4 brani, tra cui Jugband Blues (da lui scritto e cantato).
Ma concentriamoci sul primo dei due, assolutamente antitetico dal sound del gruppo, che potrebbe essere considerato come la base della musica psichedelica. Album molto controverso, presenta testi bizzarri e che spaziano tra temi fiabeschi e spaziali. Insomma un album che ricalca in pieno anche lo stato mentale di Syd. In ogni caso, molti dei generi musicali che si susseguirono nel corso degli anni settanta devono un tributo a Barret.
Molti furono i brani che gli furono dedicati (Wish You Were Here, Brain Damage e Shine On You Crazy Diamond) nonostante una presenza ormai solo virtuale e altrettanti furono gli influssi su grandi musicisti come Roger Waters, suo grande amico, Mc Cartney, Blur ma, soprattutto, David Bowie che ammise di essersi ispirato alla sua genialità, a registrare una cover di See Emily Play.
Insomma un artista eclettico, visionario, padre della psichedelia moderna cui in tanti devono molto, non solo la sua creatura, i Pink Floyd.
Storia illustrata del rock. Ediz. illustrata
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