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Steel Flowers: Kleptocracy

Kleptocracy è il secondo album dei milanesi Steel Flowers, che mescolano heavy, funky, blues in un album impetuoso di vigore elettrico

Steel Flowers

Kleptocracy

(Red Cat Records)

alternative rock, crossover

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[youtube id=”qt9eTXTD1o8″]

Steel Flowers-recensione-KleptocracyAttivi nei primi anni 2000, i milanesi Steel Flowers fanno uscire il secondo album, Kleptocracy, disco dai suoni hard-funky-metal che potremmo identificarli a metà tra Psychofunkapus, Infectious Grooves e Jane’s Addiction. Un disco a cui sono stati dietro per 4 lunghi anni, realizzando dieci brani da ascoltare con attenzione perché nasce come concept album dai suoni aggressivi, voci assordanti, ritmi ballabilissimi, riff continui di chitarre e tastiere che dipingono movimenti sonori sinuosi.

Quando poi un gruppo si presenta con un concept a me personalmente vengono i brividi, perché pubblicare un album con un filo conduttore ben preciso fa comprendere che non si vuole suonare solo della musica, ma raccontare un percorso. Nella presentazione il sestetto milanese cita Orwell, ormai simbolo dell’identificazione di un mondo soggiogato dalla mania del controllo, in cui il protagonista di Kleptocracy apre gli occhi a quello che sta accadendo. Ma soprattutto il riferimento è nei riguardi di Aldous Huxley e il suo romanzo più famoso, “Brave New World/Un Nuovo Mondo”.

Che bello sentire sfogare la seicorde in Break My Blues, che contrasto con il groove dell’iniziale Oxymoron 4991 quando pare cogliere di sorpresa dopo la prima furiosa traccia, ma già dalle successive note funkycore di Pauper sembra farci intendere che siamo nel mezzo di un maelstrom di prorompente energia. E così anche la drammatica Hallways of Illusion sembra scavare nella tradizione delle vecchie ballad oniriche progressive tendenti alla Black Sabbath: qui un assolo vintage semplice, pulito e intenso ci convince più che nelle parti ascoltate a fondo disco dove le sonorità si fanno più oscure.

Nel finale con Tank Man si conclude un album direi piuttosto eterogeneo nella composizione, c’è un discreto avvicendare di alternative rock intriso di padronanze contaminate da febbricitanti predisposizioni heavy, con una sezione ritmica che con maggior lavoro tecnico potrebbe risultare ancora più sconvolgente. Lasciamoli lavorare.

 

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Luca Paisiello
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