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Smashing Pumpkins: recensione di Cyr

Gli Smashing Pumpkins di Cyr si reinventano stile e design rispolverando i piaceri superficiali della sensibilità pop facendo leva su un remake di estetica glam.

Smashing Pumpkins

Cyr

Sumerian Records

synth rock, darkwave, synthwave


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recensione Smashing Pumpkins Cyr.jpgL’epoca pop discografica contemporanea sembra fortemente filtrata attraverso una visione di saggezza vintage e commemorativa, passando per il recupero di quei potenti suoni sintetici e opulenti che hanno caratterizzato la cultura mainstream della prima metà degli anni 80.

Riparte da qui la metamorfosi revival degli Smashing Pumpkins, con la pubblicazione di Cyr, l’opera mastodontica, megalomane, evocativa, ridondante (eccessivamente monocorde) ed impegnativa che scaturisce dalla mente creativa di Billy Corgan (una sorta di Charlie Brown del rock moderno), quale undicesimo full-length della iconica band alternative rock di Chicago, edito per Sumerian Records sotto la produzione dello stesso Billy Corgan.

Gli Smashing Pumpkins 3.0 mettono in piedi una dichiarata “operazione nostalgia”, per mezzo di una retrospettiva storico musicale che prosegue quel percorso di crescita e ricerca sonora cominciato già con Adore e Machina, discostandosi sempre di più dal genere heavy rock alternativo che li aveva resi famosi negli anni Novanta, onde evitare di non finire risucchiati nel patetico mondo dei Deftones o nel magico forno scalda-minestre degli AC/DC.

La nuova release, composta da ben 20 tracce inedite raccolte in un doppio album (in antitesi con il trend discografico odierno), va a rifugiarsi nel passato rinfrescando memoria e cuore con un nostalgico vernissage darkwave anni Ottanta, lasciandosi trascinare dal fascino della sequenza tridimensionale futuro-presente-passato a suon di drum machine, sintetizzatori, bassi pulsanti new wave, moquette di basi elettroniche ovattate, passando dalle luci soffuse, introspettive e romantiche dell’autunno alle atmosfere cupe e sinistre di novembre, e soprattutto scontrandosi, inevitabilmente, con le aspettative di quei fan integralisti ancora legati al trademark sonoro di sponda grunge ’90s degli Smashing Pumpkins.

Al netto di tematiche d’attualità senza tempo quali la natura umana, le correnti emozionali della vita e le dipendenze dopaminiche dovute alle nostre relazioni interpersonali e alla tecnologia, le zucche psichedeliche si reinventano stile e design (pur non inventando nulla di originale), rispolverando i piaceri superficiali della sensibilità pop facendo leva su un remake di estetica glam, incarnando le forme gotiche e ortodosse dei The Cure di The Forest, le ritmiche malinconiche disco wave dei New Order, le sciabolate sulfuree e industrial di Trent Reznor e White Zombie e le dilatazioni sinfoniche e cromate dei Puscifer.

Con gli Smashing Pumpkins ormai distanti dalla comfort zone delle distorsioni rock, l’ammaliante e inconfondibile timbro di Billy Corgan sembra essere l’unico elemento in grado di resistere alle intemperie delle stagioni, quale ponte superstite tra il vecchio ed il nuovo testamento della band in relazione all’ambiente esterno ed al proprio background.

Il mondo è ancora un vampiro, caro Billy.

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