Slash
Slash
(Cd, Roadrunner Records)
hard rock
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A tre anni dall’ultimo disco con i Velvet Revolver, Slash debutta da solista. In realtà qui il concetto di “solista” rischia di essere fuorviante, dal momento che il segno dominante sembra essere l’incontro e la fusione di personalità e idee, pur se con esiti su livelli diversi. In barba a qualsiasi pretesa di protagonisto, la prima cosa che spicca in Slash è una lista impressionante di collaborazioni – tra cui spuntano anche gli ex-compagni Izzy Stradlin, Duff McKagan e Steven Adler.
Poi una lunga lista di illustri guest vocalists: con ciascuno di loro Slash riesce a creare un insieme originale e spesso inaspettato; ogni brano ha una fisionomia propria e peculiare. Per questo, il disco ha una impronta fortemente eterogenea, con risultati non sempre eccelsi, ma comunque interessanti.
In apertura, Ghost, un brano energico con riffs veloci e taglienti. Voce e percussioni affidate a Ian Astbury (The Cult) e Izzy Stradlin a far compagnia a Slash. Cadenza più lenta e cupa per Crucify The Dead con Ozzy Osbourne a dare voce a una intima rielaborazione post-apocalittica.
A fare capolino anche quelle combinazioni che non ci si aspetterebbe, come quella Slash-Fergie in Beautiful Dangerous, che nonostante l’impegno non è però uno dei momenti più riusciti dell’album.
Il cammino di Slash regala poi numerose sorprese: le ottime prove di Myles Kennedy, prima nel movimentato Back From The Cali poi nella pacificante ballata Starlight; l’atmosfera tesa e graffiante di Promise, che si serve della profondità vocale di Chris Cornell, per poi lasciare spazio al sapore country e galvanizzante di By The Sword (primo singolo estratto dall’album), uno dei pezzi in cui si ha un equilibrio praticamente perfetto. La voce (perfettamente calzante) è dell’australiano Andrew Stockdale (Wolfmother).
Ancora delle ballate melodiche e malinconiche con Gotten (arricchita di archi e organo) e la decadente e sognante dolcezza di Saint Is A Sinner Too, ma anche delle sterzate più aggressive: colpisce a testa bassa la pressante, rumorosa e ringhiante Watch This Dave, con degli inferociti Dave Grohl alla batteria e Duff McKagan al basso; tutto si fa più scuro e meno incline a una tregua con Nothing To Say (la voce è quella di M. Shadows degli Avenged Sevenfold, il collaboratore più giovane dell’album); accenti più ironici con Doctor Alibi, rude, divertente e dal ritmo sostenutissimo. Ciliegina sulla torta il vocione da orco tabagista di Lemmy Kilmeister (Motörhead).
La conclusione è tesa e serrata con We’re All Gonna Die in collaborazione con Iggy Pop.
In sostanza, quello che esce da questo disco è un frizzante lavoro di squadra, con risultati gradevoli, ancor più perchè spesso spiazzanti.
Sarà Myles Kennedy a prestare la voce a Slash e alla sua band (Chris Chaney, Josh Freese e Lenny Castro) anche in tour. Tour che da maggio a settembre porterà l’album ai quattro angoli del globo, toccando anche l’Italia con la data milanese del 10 giugno.
http://slash.ultimate-guitar.com/
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