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Shellac + Bellini: Bologna, Estragon, 8 ottobre 2010 (live report)

Gli Shellac e i Bellini si confermano delle macchine del terrore noise-rock in un Estragon gremito tra question time irresistibili, goffaggine nerd, violenza sonica ed emotività commovente

Shellac + Bellini

Bologna, Estragon, 8 ottobre 2010

(live report)

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Shellac-recensione-concerto-bolognaSteve  Albini è un impiegato all’ufficio oggetti smarriti di Cloversfield, nelle vicinanze di Chicago; ha gli occhiali, un vestiario indecente, si muove timido e impacciato, sembra che tutto si rompa attorno a lui, tutti gli oggetti si scansano per il timore di essere sfiorati da quel corpo lento e goffo, magro e invincibile.

Todd Trainer ha trentasei anni anni e dei calzini bucati sempre indosso. Ha i capelli nero catrame, appiccicati sulla testa o sull’aria non importa, e non fa nessun lavoro. Qualcuno lo paga per essere stesso, sempre. Lui non capisce ma accetta gli assegni di mantenimento.

E poi c’è un uomo abbastanza grosso, quasi grasso direi, un grassone con delle occhiaie immense e dei capelli ricciolini. Ha una bella voce eppure fa il giardiniere. Qualcuno giura di averlo sentito urlare mentre taglia l’erba sul suo scassato camioncino. Viene dall’Iowa eppure vuole ammazzare qualcosa di religioso nella sua vita.

Ad occhio in America in questo momento, ci sono circa 32 milioni di persone che rispondono, almeno in parte, a questa descrizione. Non si incontreranno mai nelle loro umili e misere vite, verranno derisi e mai ascoltati. Purtroppo. Mi ricordano Bruno Stroszek.

Steve, Todd e l’uomo grasso senza nome si sono incontrati e hanno dato vita ad una macchina del terrore. Le loro vite da quando sono diventati Shellac of North America sono cambiate e cercano di rinnegare questo loro passato lusinghiero, il giardinaggio, l’Iowa, la goffaggine ecc. Gli Shellac hanno scritto la più bella dedicate alle scarpe degli ultimi vent’anni, tale Shoe Song. Venerdì otto ottobre duemilaedieci gli Shellac hanno suonato a Bologna all’Estragon e tutti si sono divertiti un sacco, anche loro. E si vedeva.

Prayer to God è il ritratto del reverendo Jones con il suo Corano bruciato, immaginato dieci anni prima, un attacco violento e mirato. Squirrel Song è come seThurston Moore suonasse in preda ad un attacco d’asma. Question time ridicoli intermezzano il tutto, dove tutti si divertono, domande e gente che puzza dal troppo muoversi. Steady As She Goes è una frusta. La messa suprema di End of the Radio che conclude il tutto, con Todd che attira l’attenzione suonando a casaccio, il bassista abbastanza grosso che suona tre accordi che ti ustionano e Albini, ora impiegato ufficio immatricolazioni, che degenera in riff contro tempo, contro senso, contro tutto, tranne il genio che sprigionano. Steve Albini ora lancia la chitarra contro l’amplificatore artigianale e la riprende, fischia tutto, anche in Tangenziale. Mai la linea tra auto ironia e deficienza è stata così sottile, mai la linea tra genio e dissimulazione è stata così fragile. Mai tre uomini semplici e perbene dell’alternative, in questo momento scuro per la musica, sono stati così geniali.

Dimenticanza. In apertura c’erano i Bellini, altra fucilazione noise-rock impietosa. La Giovanna Cacciola mai è stata così devota, così funerea, così indiavolata nel suo cantato, mai Agostino Tilotta così assassino, così urlante, così insonne nel suo essere Agostino Tilotta. Sembrano una coppia felice Giovanna e Agostino da Catania, sono gentili e hanno lineamenti scavati ma ci assalgono perché incompresi, ci avvolgono nel loro rumore. Mai è stato così bello essere incompresi. La loro tragica The Thin Line è bellissima, e ora dormiamo per mesi.

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Federico Pevere
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