Sharon Van Etten & The Attachment Theory
s/t
(Jagjaguwar)
goth folk, new wave, synth-pop, dream folk, alternative rock, art rock
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A distanza di tre anni dal precedente disco solista We’ve Been Going About This All Wrong, Sharon Van Etten sveste i panni della cantautrice solista per abbracciare il progetto Sharon Van Etten & The Attachment Theory, coinvolgendo la sua band di supporto formata da Jorge Balbi alla batteria, Devra Hoff al basso e Teeny Lieberson al pianoforte, chitarra e synth.
Da questa nuova sinergia, scaturita da jam session improvvisate e frutto di un lavoro di scrittura collettiva, nasce l’album omonimo Sharon Van Etten & The Attachment Theory, edito per Jagjaguwar e registrato a Londra sotto la produzione di Marta Salogni (Björk, Black Midi, Animal Collective, Depeche Mode Porridge Radio, ecc.).
Quello che affiora dai dieci brani in scaletta è un cocktail melodico di declinazioni new wave e synth-pop dal sound radio-oriented, dove chitarroni e sintetizzatori rievocano estetica e groove tipicamente anni 80, calandosi in quella maestosa e nostalgica bolla spazio temporale, nella corrispondenza armonica tra sonorità analogiche ed elettroniche.
Ispirandosi ai vari Kate Bush, Blondie, Eurythmics e Talking Heads, con l’intento di uscire dalla comfort zone dell’indie-folk e arricchire la propria identità compositiva, la 43enne musicista del New Jersey si muove dunque sul terreno evocativo di pulsanti ritmiche goth-wave e nell’intimità di ambientazioni cupe, vellutate e oniriche, fino a ricamare paesaggi dream-pop, riuscendo a creare e trasmettere diverse sfumature umorali, filtrate attraverso l’incanto del suo timbro vocale, elegante, ammaliante e avvolgente.
C’è spazio anche per il groove-dance di I Can’t Imagine (Why You Feel This Way) e per certe dissonanze smeriglianti di rimando Pixies (Indio), passando per le tonalità tormentate e catatoniche di Southern Life (What It Must Be Like), mentre ogni traccia di inquietudine sembra sfumare nelle atmosfere eteree e celestiali di Fading Beauty e I Want You Here, tra arrangiamenti d’archi e accordi sospesi, a conferire una sensazione di lento distacco dal demone della realtà, per fluttuare verso un altrove ascetico e cinematico.
L’espressione testuale di Sharon Van Etten & The Attachment Theory ruota attorno a tematiche interiori come la fugacità del tempo e l’impossibilità di catturare per sempre i momenti della vita, la fragilità dell’amore e il dolore dovuto a una lontananza, i comportamenti alienanti di una contemporaneità sempre più tecnologica (“all that skin against the glass, all these things we think we lack, all this time we can’t get back”) e i tanti dubbi esistenziali legati a ciò che ci attende dopo la morte.
L’album si apre con la canzone Live Forever, con il refrain “who wants to live forever? a rievocare uno dei brani più rappresentativi dei Queen, e al contempo l’eterno dilemma spirituale dell’essere umano nella sua esperienza terrena. Andando avanti troviamo la misteriosa chimica del legami affettivi nella percezione di cosa o chi ci aspetta nell’aldilà (Afterlife), le difficoltà genitoriali (Southern Life What It Must Be Like), l’incomunicabilità nelle relazioni di coppia (tema già trattato proprio da Kate Bush nella sua hit Running Up The Hill), la possibilità che ci sia compassione nelle divergenze (“do you believe in compassion for enemies?”) e infine la bellezza che pian piano sbiadisce (Fading Beauty, I Want You Here).
Questa nuova sfida discografica – e personale – permette a Sharon Van Etten di riconoscere e approfondire una fase di crescita e cambiamento, sia nel raccontare se stessa sia nel condividere il suo viaggio tra sentire e vedere: “I’m just a traveler, getting on this train”.
Sharon Van Etten & The Attachment Theory
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