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Salmo: recensione di Flop

Salmo festeggia la sua carriera decennale mandando alle stampe il suo sesto lavoro discografico intitolato Flop: non fa prigionieri, non fa sconti a niente e nessuno, persino a sé stesso.

Salmo

Flop

(Machete Empire, Columbia Records)

rap, crossover, garage rock, R&B, urban, delta blues

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recensione salmo flopA distanza di tre anni dal precedente Playlist, il rapper sardo Maurizio Pisciotta, meglio noto con lo pseudonimo di Salmo, festeggia la sua carriera decennale (a firma Salmo) mandando alle stampe il suo sesto lavoro discografico intitolato Flop, edito per le etichette Machete Empire e Columbia Records.

Per la realizzazione di questo nuovo, demistificatorio e bulimico album (ben 17 tracce), concepito durante la quarantena causata dalla pandemia e ispirato proprio da quello stato d’animo di isolamento, destabilizzazione e dal sussidio curativo degli psicofarmaci, Salmo, attualmente il performer più popolare e controverso del panorama rap tricolore, si è avvalso in fase di produzione di collaborazioni illustri, nei nomi di Mace, Takagi & Ketra, Low Kidd e Andry The Hitmaker, e di featuring d’eccezione quali Noyz Narcos, Alex Britti, Marracash, Shari e Guè Pequeño.

Provocatorio, rabbioso, sardonico (nel suo caso calza a pennello…) e dissacrante nei confronti della religione (“Sia benedetto il tuo nome, Signore, che il mondo lo salva un dottore”), dell’establishment governativo, del fallimento e del conformismo passivo di una società di matrice “squid game” sempre più individualista, digitalizzata, memizzata, contradditoria, brutale, alienata e inginocchiata al politically correct, all’edonismo e al duopolio capitalismo-consumismo, Salmo lancia rime e metriche dal suo mic come lame Shogun, supportato dal suo ormai inconfondibile e graffiante flow e dalla sua irriverente, emotiva ed eterogenea disciplina stilistica, ricca di citazioni musicali e cinematografiche, metafore, dissing, groove, beat e campionamenti presi in prestito dal mondo del rock, dell’hip-hop e della tech-house (vedi riff garage rock catchy alla Queens Of The Stone Age, Just Keep Walking degli INXS e I’m So Crazy dei Par-T-One), ballad sentimentali, slide western blues di memoria Don Medellin, terminologie ricercate, divertenti e accattivanti e, nella titletrack, con la stessa scanzonata leggerezza del Willie Peyote di Sanremo.

L’intero impianto tematico e riflessivo dell’opera, accompagnato da quel risentimento simbolico raffigurato nel ritratto La Caduta dell’Angelo di Alexandre Cabanel che immortala un Salmo in versione Lucifero, si può riassumere in quella che è l’antichissima arte orientale del “kumite”, ovvero la lotta per la sopravvivenza dell’essere umano, nell’insegnamento del rapporto leale con il prossimo, nel rispetto reciproco e nella gestione delle difficoltà, come sintomo di perseveranza, resurrezione e accrescimento personale, al pari di una consapevole e tollerabile accettazione delle delusioni, delle cadute e, in senso più ampio, della propria sfera fallibile.

 

Salmo, dall’alto dei suoi violenti eritemi linguistici (a colpi di inchiostro glock), della inevitabile disillusione, dell’indignazione tranchant come ghigliottina, della sua evidente fragilità, del pentimento da peccatori del giorno dopo, di tutti gli inflazionati riferimenti a bitches, bro e Frà e del suo verbo messianico, non fa prigionieri, non fa sconti a niente e nessuno, persino a sé stesso, tanto da identificare Flop come “il peggior disco della sua carriera”.

Etichettatura disfattista mascherata da autocritica estrema, attraverso quel piangersi addosso preventivo da navigato allenatore di fantacalcio, quasi a presagire un imminente insuccesso, che invece sembra camuffarsi da mossa di marketing intenzionalmente ossimorica e paracula, con l’obiettivo di mettere le mani avanti e alimentare, viceversa, l’effetto contrario.

D’altronde, alcune perverse e fantasiose dinamiche della mente umana, tra quelle che regolano il flusso conservativo del pubblico di massa, sono ancora tutte da scoprire, governare e strumentalizzare. E poco importa se Salmo è troppo vecchio per i social dei millennials, se non è più quello d’una volta e se Flop verrà definito un disco brutto. Per Salmo è tutto ok, e ce lo comunica con quel suono anglofono-onomatopeico e quel ritmo egocentrico e sociopatico pronto a scalare le classifiche delle vendite streaming.

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