Moonspell + Rotting Christ + Scream, Baby Scream + Silver Dust
Milano Magazzini Generali, 10 novembre 2019
live report
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Katà ton dàimona eautòu: attraverso il proprio demone, la traslitterazione dal greco antico rende bene l’ascolto dei Rotting Christ, band black metal ellenica, capeggiata da Sakis Tolis e attiva dal 1987.
È arte, emozione, istinto: seguire il demone in senso buono, senza l’accezione negativa che gli attribuirà il cristianesimo. Il daimon greco è pura passione, è assecondare le proprie inclinazioni e capacità, liberare la parte dirompente di sé stessi…, ed è sempre cultura, nel volgere delle epoche.
I Rotting Christ sono andati in scena a Milano il 10 novembre 2019 ai Magazzini Generali selezionando accuratamente il meglio del proprio repertorio: cori salmodianti, mutuati dalla tragedia greca, liriche esoteriche ed atmosfere nerissime.
I Rotting Christ sono occultismo e raffinatezza, a partire da uno dei brani di apertura Fire, God and fear, tratto dal loro ultimo album The Heretics, in cui si cita Voltaire: “Those who can make you believe absurdities, can make you commit atrocities”, “Coloro che possono farti credere assurdità, riusciranno a farti commettere azioni atroci”.
Il diavolo dei Rotting Christ assomiglia al diavolo dei Tarocchi, è esplosione che porta al cambiamento, luce nelle tenebre della superstizione medievale, dove il fuoco delle pire brucia i peccati degli eretici, per lo più innocenti, i cui “amati desideri si estinguono e si perdono nel dolore” (“beloved desires die out and lost in pain”).
Si spazia poi nel Dies Irae, sequenza latina di Tommaso da Celano, del XIII secolo: “il giorno dell’ira, quel giorno, testimoni David e la Sibilla, il secolo si dissolverà in faville. Quale terrore salirà quando verrà il Giudice eterno a giudicare severamente ogni cosa”, il tutto in un’atmosfera claustrofobica e plumbea.
L’inferno dei Rotting Christ è l’Ade delle ombre erranti dell’antichità classica, dolorose ed esangui, dove il re di un dominio ctonio, sotterraneo, comanda su una cerchia di amanti perduti, creature sensuali che furono arse dall’amore carnale o da un fuoco interiore come Meleagro, in un regno dove vengono intonate le melodie di coloro che hanno lasciato per sempre l’anima, “melodies of them who gave up the ghost”.
La musica dei Rotting Christ è difficile e affascinante, sempre varia, ipnotica, fortemente contaminata dai ritmi della tradizione folk ellenica, è un gruppo importante per storia e discografia ed è quantomeno ingeneroso accusarli di stanchezza e ripetitività, da sempre nell’underground e mai disposti ai compromessi, in un autentico “Non serviam”.
La serata ha inoltre visto in apertura due gruppi molto divertenti, gli Scream, Baby, Scream ed i Silver Dust.
Gli Scream, Baby, Scream sono una band milanese formatasi nell’aprile 2010 che definisce il proprio sound “horror shock metal”, con influenze industrial e punk americano ispirato dai Misfits. Ciò che li contraddistingue è soprattutto una buona dose di autoironia e le intenzioni sono quelle di dar vita ad uno spettacolo splatter, che attinge ad un vasto repertorio, da Alice Cooper a Marilyn Manson, senza mai prendersi troppo sul serio, il tutto ben condito da un solido black metal all’italiana.
Pilotato da Christian “Kiki” Crétin (Lord Campbell), ex difensore professionista di hockey su ghiaccio, al gruppo dei Silver Dust, fondato in Svizzera nel 2013, sono bastati sei anni per passare dallo status di “piccola” band del Jura a una notorietà sempre crescente sulla scena metal europea. Per testuale ammissione del gruppo di Porrentruy, esibirsi su un palco è “soprattutto performance fisica, differente da quella sportiva: quando si è su una pista o su un campo bisogna fare astrazione dal pubblico, mentre durante un concerto bisogna sentirlo, andarlo a cercare”. In effetti i Silver dust mettono in scena uno show divertente, caratterizzato da uno stile molto teatrale e da una musicalità death pulita, “scandinava”, filtrata dall’inconfondibile gusto elvetico per un metal dall’estetica gotica e dalle atmosfere algide, con contaminazioni prog, accompagnata da influenze classiche, percussioni tribali e preziosismi elettronici.
A tratti noiosi ed inspiegabilmente headliner, i Moonspell, gruppo portoghese attivo dal 1992 e capitanati dal cantante Fernando Ribeiro. Il loro stile, che si rifà principalmente al goth metal, fluttua altresì tra il black e il death metal. Per fortuna, lo spettacolo è stato ravvivato dai vecchi successi dell’album Irreligious del 1996 e di Sin/Pecado del 1998, dalla vena più sperimentale e da una bella versione di Desastre dall’album 1755 (l’anno del terremoto di Lisbona), con riffs oscuri, e l’offensiva di una ritmica possente e sanguinante. L’introduzione di Ruinas, quasi spaventosa, inchioda al suolo per la sua glacialità.