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Rosso Dalmata: recensione cd omonimo

Quattro bolognesi debuttano con un album diretto, facile e per niente banale. E non è cosa da poco

Rosso Dalmata

s/t

(Cd, Udu Records/New Model Label Edizioni)

indie rock

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rosso-dalmataL’Emilia in questi ultimi anni si sta rivelando una vera e propria fucina di talenti. Tralasciando i grandi rocker di cui non c’è nemmeno bisogno di fare il nome, questa regione ci sta abituando a realtà interessanti, soprattutto in campo indie. Proprio da Bologna infatti, arrivano i Rosso Dalmata, band relativamente giovane alle prese con il proprio debut album (Rosso Dalmata, appunto), nel quale ricercano uno stile personale che coniughi le ritmiche più easy-listening d’oltre Manica con sonorità nostrane e testi che rispecchiano la realtà sociale di un paese alla deriva.

Mina si fa di chetamina è il brano d’apertura oltre che il singolo, per il quale è stato realizzato un video dalla Elephant Production. E’ un misto di rock ed elettronica che ricorda molto i Bluvertigo, influenza che resta prepotente anche nelle seguenti 10 tracce e accanto alla quale si fa largo una componente di matrice britannica (o filo britannica) ispirata all’alternative rock che ha fatto la fortuna di gruppi come The Strokes o Arctic Monkeys. La forza di questo quartetto è quella di non voler scimmiottare il suono di nomi già affermati, ma di tentare invece di reinterpretarlo nell’ottica di sperimentazioni più elettroniche che appartengono al substrato della nostra cultura musicale.

Il risultato è un prodotto potenzialmente esportabile, con un suono internazionale, ma fortemente connotato al paese di appartenenza, con liriche che lasciano trasparire la necessità di comunicare l’angoscia e l’inquietudine che attanagliano una generazione (e non solo). L’amore visto come un’ardua sfida (Il cubo di rubick), il ’69 come epoca di ribellione ma soprattutto di cambiamento (Adoro il ’69), le droghe come risposta all’indifferenza (Mina si fa di chetamina) sono storie quotidiane nelle quali ritrovarsi e dalle quali sentirsi in un certo senso rappresentati.

In sintesi, un’opera prima interessante, dallo stile compositivo alquanto ben delineato, che non si lascia fagocitare dall’esterofilia imperante nelle nostre classifiche. Un’ultima nota di colore è la copertina, emblema della filosofia dei Rosso Dalmata: la band vi è ritratta con un anti-pop (la retina che si mette d’innanzi al microfono in studio per evitare la ripresa delle consonanti “scomode”) in segno di censura contro un’Italia che non fa parlare nessuno, figuriamoci gli artisti.

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Simona Fusetta
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