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Ronin: L’ultimo Re

A due anni di distanza dal precedente Lemming la band di Bruno Dorella torna con un nuovo album, un concept che narra la storia di un film che (ancora) non c’è.

Ronin

L’ultimo Re

(CD, Ghost Records)

post-rock

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Ronin- L'ultimo ReTratto da una storia nata dall’immaginazione del leader Bruno Dorella bambino al sentir pronunciare la frase “Con le budella dell’ultimo prete impiccheremo l’ultimo re” in un film, il terzo album vero e proprio dei Ronin altro non è che il racconto epico che germogliò dentro a Dorella fatto musica: un racconto in episodi della fuga del prete (e dalla sua fine ineluttabile, così come quella del re) tra spaghetti-western, scorribande da film d’arti marziali, accenti da spy movie e crescendo orchestrali. Una vera e propria colonna sonora (rigorosamente strumentale) per un film che non esiste, se non negli occhi di chi ascolta.

La title-track è costruita su un arpeggio dalle linee melodiche vagamente tex-mex, confermate poi dall’attacco di un coro morriconiano di voci maschili che potrebbe essere uscito dalla colonna sonora di C’era una volta il West. Il rullare di timpani sul finale ed il ritorno del coro denunciano che non si tratta di un brano qualsiasi, ma di una vera e propria ouverture.

Le cinque tracce seguenti descrivono un andamento perlopiù lento, inducendo l’ascoltatore ad un ascolto riflessivo (ascoltatore che dovrà, come il visitatore di un museo di fronte ad un quadro impressionista, aspettare con calma di fronte all’opera per poter cogliere appieno il suo senso, permettendo che questa permei nei suoi sensi senza fretta). Tra questi brani in particolare si fa notare Lo spettro, con il suo incedere jazz che si muove tra due chitarre che ricamano note sospese nell’etere in un’atmosfera che sa del post-rock dei primi tempi ma con un sovrappiù di malinconia e di calore che sono solitamente deficitari in tale genere.

Arriva poi Venga la guerra a creare una cesura in L’ultimo re: qui la band si lancia in un surf sui generis che, pur se funzionale alla totalità dell’opera e ad i suoi meccanismi (nello specifico: cambiare il ritmo della narrazione con un rapido balzo), non riesce a riscattare una certa sensazione di già sentito. Simile pare l’approccio anche nella successiva Morte del prete che però combina al surf appassionanti calde chitarre ed arrangiamenti à la Calexico ed un finale a ritmo di giostra (con in questo caso il nume tutelare di Pascal Comelade) che declina in ironia il precedente sviluppo del brano.

In chiusura, la conclusiva Morte del re tira le somme con un lento ed inevitabile finale che non lascia alcun dubbio sulla sorte dei personaggi tratteggiati dalla musica dei Ronin: gli strumenti si presentano lentamente all’appello per un’ultima scena prima che cali il sipario, tra accordi di chitarra che appaiono e scompaiono come fantasmi, risucchi di feedback che alitano nell’aria come timide folate di vento, ed un lento procedere dei musicisti (e dei personaggi da loro veicolati) verso gli ultimi istanti di questo film che non c’è, già immaginandosi lo scorrere nero dei titoli di coda.

Ricco di spazi che suscitano nell’ascoltatore (a seconda della sue dedizione e della sua attenzione all’ascolto) un fascino che può irretire con le sue spirali di suoni desertici, con i suoi orizzonti sfumati, e con i suoi brevi scatti di malinconica energia, L’ultimo re ci lascia dei Ronin in ottima forma, che possono e devono chiedere la giusta considerazione per la loro musica.

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