Il 4 ottobre del 2002 RockShock emetteva i suoi primi vagiti in Rete. E oggi, 4 ottobre 2017, compie 15 anni.
Da allora sono cambiate tante cose per il nostro sito e forse anche di più nel mondo della musica, ma soprattutto nel modo in cui la musica viene fruita.
Al di là dei cambiamenti tecnici che il webmagazine ha subito, assecondando un’evoluzione tecnologica che ha spostato la fruizione del web sempre più sugli smartphone e sempre meno sugli schermi casalinghi (ma di questo riparleremo tra qualche riga), è cambiato radicalmente sia il panorama musicale (specie quello italiano) e sia quello dei fruitori di musica.
Le considerazioni che seguono sono da un osservatorio privilegiato, in quanto mi onoro di essere il direttore di RockShock, ma anche di un sito che si occupa di strumenti per la riproduzione musicale (QuotidianoAudio.it).
RockShock nasceva in un momento in cui i CD avevano mandato in soffitta gli LP e nessuno si sognava che il vinile (ri)diventasse ossessivo oggetto di collezionismo. Nasceva in un periodo in cui le case discografiche lanciavano strali contro Internet, vista come Il Male in quanto mezzo attraverso cui si diffondeva la pirateria musicale sotto forma di file MP3 (ma c’erano aziende proprietarie di etichette discografiche e allo stesso tempo produttrici di masterizzatori CD per computer!).
RockShock prende vita in un periodo in cui le connessioni a Internet erano via modem a 56k (i più giovani di voi probabilmente neanche si renderanno conto di cosa significava in termini di velocità di navigazione: è come paragonare una lumaca a un Ferrari). E men che meno era possibile (e neanche immaginabile) una roba chiamata streaming audio o video. Non c’erano neanche Google, FaceBook e YouTube (!!!).
Chi ascoltava musica collezionava CD (li comprava!) e soddisfaceva la fame di canzoni a forza di CD-R masterizzati dagli amici o di MP3, anch’essi scambiati in maniera carbonara.
Nei primi anni 2000 ricevevamo 300 CD l’anno. Oggi riceviamo 300 link per download. E per di più sempre più spesso si tratta di EP e non di album interi.
E dunque, cosa è cambiato?
RockShock nel 2017 è un sito che deve il suo successo soprattutto alle pagine di servizio (il calendario concerti e l’agenda dei festival europei) e ha una massa consolidata di appassionati di recensioni di dischi che sale sempre più per età media.
È cambiato che oggi giovani e giovanissimi nella maggior parte dei casi neanche si sognano di comprare musica (file, CD o LP che siano), tanto… sgorga naturalmente da qualsiasi dispositivo connesso in Rete, smartphone su tutti. E chi se ne frega se la qualità di riproduzione ne risulta mortificata e/o lontanissima dalle intenzioni degli artisti, che da parte loro hanno fatto buon viso a cattivo gioco e già da un po’ hanno cominciato a mixare i dischi (dischi è parola che non ha più senso, ma ci siamo capiti) proprio per rendere al meglio con questi tipi di dispositivi, sacrificando dinamica e dettagli.
È cambiato che oggi quasi più nessuno, soprattutto sotto i 40 anni, si ferma 30/40/60 minuti solo per ascoltare un disco. E una recensione al più viene scorsa col dito sul touch screen dello smartphone. Oggi si fa zapping musicale saltando da un link a un altro, da un video a un altro, da una playlist di Spotify all’altra, dedicando pochissima attenzione alla musica.
E allora che ci stiamo a fare noi di RockShock, che ci scervelliamo per capire cosa voleva dire l’artista, quanto vale un disco (ancora questa desueta parola!) considerato nella carriera di una band o che valore possa avere per il semplice ascoltatore curioso? Tra l’altro, band è una parola / concetto anch’essa fuori moda, in tempi di trap, rap e crew.
Ci stiamo a fare perché tutti noi, qui a RockShock, abbiamo una concezione un po’ romantica della musica, perché siamo convinti che sia uno dei modi migliori per spendere il proprio tempo. E anche perché sappiamo che la musica è il più piacevole dei vizi, una necessità che appena compresa per la sua valenza culturale… si porta appresso un diverso grado di consapevolezza e la necessità di approfondimenti.
Ecco, siamo (ancora) qui per approfondire, per informare e per fornire un servizio.
E ci saremo per almeno altri 15 anni. Speriamo.
Massimo Garofalo
Ma ora è tempo di lasciare spazio ai redattori storici di RockShock e conoscere anche il loro punto di vista.
Simona Fusetta, redattrice di RockShock dal 25 febbraio 2008
Com’è cambiato il mondo della musica, specie quella italiana ma non solo, da allora?
Credo che il mondo della musica rifletta i cambiamenti a cui è sottoposta la società in generale. Abbiamo sempre meno tempo libero, e anche dalla musica pretendiamo immediatezza. Trovo che ci sia meno voglia di andare alla ricerca del particolare, di scavare oltre la superficie di quello che questo tempo mordi e fuggi ci propone, di seguire una band investendo su di essa per vederla crescere album dopo album.
In Italia, beh, i talent la fanno da padrona, il baricentro si è spostato molto su generi musicali diversi come il rap, ma un buon substrato cantautorale c’è, anche se di sicuro fa fatica a emergere. Quello che ultimamente mi sembra che manchi è il rock, insieme a quel fervore e a quell’ideologia che hanno caratterizzato gli anni ’90, che inevitabilmente, avendo vissuto, ritornano come personale modello di riferimento.
Grazie alla collaborazione con RockShock hai avuto modo di allargare i tuoi orizzonti musicali se non addirittura cambiarli?
In questi anni ho avuto modo di innamorarmi follemente di gruppi pseudo sconosciuti, come di odiare la rete per le opportunità che concede a tutti di fare musica e di farla conoscere. Ho perso e riacquistato tante volte la fiducia nelle prospettive future… Eppure, sono proprio l’emozione e la curiosità che mi assalgono ogni volta che ricevo un link a un cd da recensire il motivo per cui non vedo l’ora di mettere le cuffie e ascoltare qualcosa di nuovo, anche se non è esattamente nelle mie corde. Perché c’è talmente tanto là fuori da scoprire ….
Vuoi aggiungere qualcosa?
Buon compleanno RockShock! Grazie a Massimo e a tutti gli altri redattori per l’impegno e la dedizione alla musica che speriamo traspaiano dalle nostre parole. Così come speriamo, almeno una volta, di essere riusciti ad appassionarvi con i nostri live report e a incuriosirvi con le nostre interviste e recensioni.
Fabio Busi, redattore di Rockshock da maggio 2009
Com’è cambiato il mondo della musica, specie quella italiana ma non solo, da allora?
A mio parere è cambiato molto. Il mondo della musica internazionale ha visto una contaminazione dei generi rock e dance che si sono ben amalgamati. In Italia invece si è purtroppo vista l’ascesa di gruppi indie che hanno abbandonato le loro sonorità per darsi a un facile successo radiofonico rincorrendo le mode del momento e arrivando a successi ben maggiori di quelli di grandi big della musica italiana. Purtroppo il livello è lo stesso, pari ruffianeria e pari interesse musicale da parte mia. Ben vengano le nuove idee e chi resta coerente con i propri gusti, a mio parere le band migliori in ambito italiano sono ancora purtroppo relegate ad un ambito di nicchia.
Grazie alla collaborazione con RockShock hai avuto modo di allargare i tuoi orizzonti musicali se non addirittura cambiarli?
Sono sempre stato molto eclettico come gusti musicali, fin da ragazzino passavo tranquillamente dall’house music al reggae, dal rap al soul, dal punk al rock classico e successivamente indie rock e big beat. RockShock ha avuto un ruolo molto importante perché mi ha permesso di conoscere e approfondire sonorità che diversamente non avrei ascoltato, oltre che darmi modo di liberare il mio estro potendo parlare di musica.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Credo che scrivere per RockShock mi abbia dato una maggior apertura mentale potendo apprezzare anche artisti che normalmente credo non avrei ascoltato. Un grazie enorme a Massimo Garofalo che mi ha dato anche l’opportunità di allargare il campo intervistando band e accettando proposte sia di recensioni che di interviste. Sarò sempre grato per ciò.
Agab, l’unico redattore di RockShock… che firma con uno pseudonimo
Com’è cambiato il mondo della musica, specie quella italiana ma non solo, negli ultimi 15 anni?
Per rispondere a questa domanda ci vorrebbe un saggio. Ma non nel senso di qualcuno assennato, bensì dello spazio fisico di un tomo da riempire di buonsenso e considerazioni amare. Tutto è iniziato una ventina di anni fa con i download selvaggi per poi degenerare in modo inaspettato e incredibilmente veloce, di pari passo con lo sviluppo della tecnologia, e franare definitivamente rovinando macerie su sogni, illusioni e passioni. E il mondo che ruota intorno alla musica, dagli artisti all’industria ai fan, non ha potuto far altro che prenderne atto e adeguarsi. I dischi non si vendono più, i negozi di dischi non esistono più, i dischi sono solo la scusa per fare promozione e andare in tour perché ormai solo facendo concerti si guadagnano i soldi veri, i dischi si sono trasformati per lo più in EP digitali perché poche tracce sono meno impegnative ma consentono lo stesso di dare costanti botte di defibrillatore ai social, i dischi sono diventati più democratici (e moriremo di troppa democrazia sebbene l’affermazione farà storcere il nasino ai benpensanti) perché l’oligarchia delle potentissime label è passato remoto e chiunque può autoprodursi e rimbalzarsi in rete, i dischi si fa finta di regalarli con vere e proprie strategie di marketing alla Amazon o Carrefour (gli U2 ti si infilano in casa a forza, i Bon Jovi “regalano” -ma si legge “impongono di comprare”- una copia del nuovo CD a chiunque acquista un biglietto per la leg americana del loro tour e di fatto si spingono al primo posto su Billboard per avere un nuovo record da annoverare e nuova linfa mediatica registrando addirittura plusvalenze di bilancio non come ai bei tempi ma comunque significative per l’era, ecc. ), gli unici dischi che si vendono sono quelli dei pupi dei talent creati da autori e copywriter rampanti… e basta, altrimenti lo scrivo davvero un saggio!
Grazie alla collaborazione con RockShock hai avuto modo di allargare i tuoi orizzonti musicali se non addirittura cambiarli?
Sì, grazie a RockShock ho avuto modo di conoscere musica che altrimenti non avrei avuto modo di ascoltare. Il che non sempre è una cosa positiva, sia chiaro. A volte è stato pesantissimo recensire musica sulla quale non avevo proprio un bel niente da dire, neanche di negativo, talmente mi giungeva passiva. Altre volte ho fatto delle scoperte. Ho avuto chiacchierate interessanti con artisti di cui non sospettavo la piacevolezza umana, non me ne vogliano gli altri ma così al volo mi vengono in mente Gianni Bella, Valentina Gerometta degli Zois, il grandissimo maestro Walter Savelli. Mi sono divertito come un bambino a intervistare gli Europe nel backstage di un loro recente concerto. Se un giorno mai riuscirò a intervistare Bruce Springsteen poi non scriverò più, ve lo giuro, anzi mi suiciderò allegramente coprendo le urla della mia gioia con i decibel altissimi dello stereo che sputano Born To Run con i diti (i diti, i diti!) medi alzati: have a nice day!
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Auguri RockShock! Chissà dove saremo tra altri 15 anni. Speriamo qui a raccontarcela ancora. Nel dubbio spassiamocela adesso. Lunga vita al rock, con tanto sex e niente drugs!
Luca Paisiello, redattore di RockShock dal 2004
Com’è cambiato il mondo della musica, specie quella italiana ma non solo, da allora?
Guardando alle varie fabbriche di Talent spuntate come funghi, sembrerebbe che mai come oggi ci sia così tanta voglia di ascoltare e fare musica. Sono emersi artisti con un talento vocale che riesce ad emozionare, eppure ci si ferma alla mera interpretazione e ci si affida a uno o più autori che studiano a tavolino con i discografici il PRODOTTO da lanciare, non un vero PROGETTO musicale da sostenere. Questi artisti-meteora non riescono a fare in tempo ad assumere una propria identità che subito si affacciano dei cloni con una certa assenza di originalità. Il danno ricade su una bella fetta di popolazione inerme e pigra che non va oltre le proposte radiotelevisive. Fortunatamente Internet viene in soccorso a quanti in radio e in TV non ci arriveranno mai per ovvi motivi, aiutandoli a promuovere la propria musica grazie ai differenti canali di comunicazione, se fatto bene. Ma alla fine prevale la paura di fallire, facendo ricadere troppi musicisti nei soliti cliché.
Grazie alla collaborazione con RockShock hai avuto modo di allargare i tuoi orizzonti musicali se non addirittura cambiarli?
Ho accettato l’offerta di RockShock perché promuovere un certo rock italiano era già allora una necessità. L’esperienza maturata da Massimo Garofalo nelle redazioni online del Gruppo Caltagirone Editore (Il Messaggero, Il Mattino, Leggo, Caltanet) mi ha messo in contatto con realtà musicali di estremo interesse. Questo mi ha permesso non solo di scoprire nuove produzioni mature come i Fast Animals and Slow Kids, ma anche episodi distanti dalla mia personale inclinazione musicale che ho gradito, come i Kolors, imparando ad essere meno prevenuto.
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Diversi anni fa grazie a RockShock avevo cominciato a recensire dischi e a raccogliere qualche intervista ad artisti con delle produzioni degne di nota. Tuttavia la situazione in cui versa il rock italiano da qualche anno (ma direi anche qualche decennio) non ha permesso a molti di questi artisti di raccogliere i frutti del proprio lavoro. Di questo tema ne ho discusso ampiamente non solo con questi musicisti emergenti, ma anche con band che in classifica ci sono andate, con giornalisti e redattori di riviste musicali, uffici stampa, agenzie di promozione, etichette ed organizzatori di Festival: tanta voglia di raccontare, riflettere, spiegare che troverà luce in un mio libro di prossima pubblicazione.
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