Richard Barbieri
Under the Spell
(KScope)
elettronica, experimental
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P.S.: per la corretta visione del video di Richard Barbieri Serpentine (che è stato realizzato a 360° e concepito per la visione con un dispositivo di Virtual Reality, è consigliato il browser Chrome o Safari. Gli utenti Firefox potrebbero avere difficoltà con gli elementi a 360 gradi. Una cuffia VR migliorerà notevolmente l’esperienza sonora.
A quattro anni di distanza dal suo precedente lavoro, torna Richard Barbieri con Under the Spell, album in cui il tastierista / manipolatore elettronico pone le basi per un totale ampliamento del suo spettro sonoro, pur nel segno della continuità con la sua cifra stilistica.
Dopo aver caratterizzato il suono di band come i Japan e i Porcupine Tree, dopo aver influenzato buona parte dell’electro-pop degli anni ’80, dopo diverse collaborazioni eccellenti (fra tutte la magnifica sequenza di album a firma Jansen & Barbieri), da qualche anno a questa parte Richard Barbieri vola da solo e lo fa senza alcun compromesso e senza nessuna velleità di voler piacere a tutti.
Under the Spell all’inizio doveva essere qualcosa di nettamente diverso, una sorta di seguito di Planet + Persona del 2017. Invece, in pieno lockdown da Covid-19, il nostro s’è trovato a fare sogni e incubi ricorrenti che lo hanno catapultato in una sorta di incantesimo (lo Spell del titolo), lo stesso in cui catapulta l’ascoltatore che vorrà dedicare la giusta attenzione all’ascolto di un album tanto lontano dalle mode quanto in grado di regalare appaganti soddisfazioni.
Tra gli ospiti dell’album troviamo l’amico di lungo corso Steve Hogarth (frontman dei Marillion) e la cantante svedese Lisen Rylander Love, co-autrice del brano A Star Light, complici di un viaggio musicale e sonoro che si esprime fra sperimentazioni elettroniche, divagazioni ambient ed echi jazz.
Con Under the Spell in poco meno di 50 minuti Richard Barbieri ci catapulta in un universo sonoro fra il cinematico e il videoludico in cui i sogni diventano incubi e viceversa; un album a tratti difficile, sempre affascinante, denso di rimandi ai Tangerine Dream, al David Bowie di Low, ai Kraftwerk, a Miles Davis, anche ai Massive Attack, ai Japan più integralisti, con echi dell’inimitabile suono del basso del compianto Mick Karn (anche lui nei Japan).
Ridurre però Under the Spell a un coacervo di citazioni e rimandi è davvero ingiusto (anche se più comodo) e rischia di impoverire quello che invece è un grandissimo album che – a dispetto dei ritmi forsennati e del livello di attenzione da bimbimikia che richiede la stragrande maggioranza della musica mainstream – è una delle uscite più appaganti degli ultimi anni.
Under A Spell
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