Red Lorry Yellow Lorry
Driving Black
COP International
post-punk
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In un piovoso pomeriggio d’autunno dove recuperare un misero cono di luce sembra impresa ardua se non impossibile, mi trovo a scrivere del rientro sulle scene di una band che amo in modo viscerale, una di quelle che in me ha lasciato un segno profondissimo, come una cicatrice incancellabile malgrado lo scorrere del tempo.
I seminali, massicci, iconici, inimitabili Red Lorry Yellow Lorry tornano a dicembre con l’EP Driving Black su COP International, il primo disco di inediti dopo oltre trent’anni di silenzio che funge da stuzzicante apetizer al loro prossimo full-lenght, Strange Kind of Paradise in uscita a febbraio 2025.
Non so spiegare cosa mi abbia sempre affascinata dei Lorries, forse quel suono granitico capace di annientare qualsiasi altra commistione sonora generata da essere umano vivente (sì perché nel frattempo è arrivata anche la maledetta AI), quel post-punk nudo e crudo che ti sbatte al muro e lì ti lascia inerme, o forse la voce cupa, patibolare, errabonda e tremendamente magnetica di Reed, o forse ancora il mostruoso impatto live privo di qualsivoglia orpello e manierismo, dove la staticità dei nostri è sempre stata una forza propulsiva inarrivabile (almeno io li ricordo così).
Insomma se quando cominciai ad ascoltarli senza mai più lasciarli andare mi avessero detto che un giorno mi sarei trovata a scrivere di un loro disco, beh, io non ci avrei creduto…e invece, la vita è proprio un bel viaggio pieno di sorprese…
Nati a Leeds nel 1981, i Lorries non hanno soltanto influenzato culturalmente quegli anni ma sono riusciti a conquistare pubblico e critica grazie ad una serie di album storici, basti pensare a capolavori come Talk About the Weather (1985), Paint Your Wagon (1986), Nothing Wrong (1988) e Blow (1989) o ad alcuni singoli capaci di scalare le classifiche indie come Monkeys on Juice, Hollow Eyes, Spinning Round, Cut Down, o Crawling Mantra, divenuti veri e propri inni underground.
In buona sostanza quel loro sound peculiare, genuino, ruvido e senza compromessi, ha tracciato un nuovo cammino nei territori più oscuri del post-punk, del rock alternativo e del rock gotico, malgrado la band stessa abbia sempre rifiutato l’etichetta goth.
In questo EP di sei tracce (tre delle quali non saranno pubblicate altrove) i Lorries tornano a ravvivare una scena per molti versi sbiadita e sempre più simile a sé stessa con una intensità tale da riportarci in un lampo dentro le loro epiche spirali magmatiche dalle quali io di certo non voglio uscire.
La voce alienata e suggestiva di Reed emoziona come un tempo, la chitarra di David “Wolfie” Wolfenden (in line-up dal lontano 1984) si intreccia magistralmente con quella di Reed sposando riff melodici ad altri capaci di alzare muri insormontabili mentre il basso di Simon “Ding” Archer (The Fall, 1919, PJ Harvey, Pixies) e la batteria di Martin Henderson (Skeletal Family, The Mekons, Quireboys) tengono il ritmo con precisione metronomica.
Si parte con un singolo di grande impatto, title track dal tiro eccezionale nella versione remix di Ding, sì perché ce n’è pure un’altra che letteralmente spiazza per l’assetto quasi elettronico e se vogliamo più distorto dove anche la voce di Reed risulta più tagliente e sprezzante, il remix in questione è firmato da un geniaccio della musica, parlo di John Fryer, leggendario produttore famoso per il suo lavoro con Depeche Mode, Nine Inch Nails e Cocteau Twins che qui co produce insieme a Simon Archer.
Ma il resto dei brani se possibile mi manda ancor più in fibrillazione, perché lo spirito dei vecchi Lorries riemerge in maniera così chiara e nitida da imbarazzare qualsiasi altra band in circolazione, Safe as Houses, oscura fino al midollo, maestosa nel suo minimalismo cosmico riporta spediti agli antichi fasti degli esordi, mentre la più melodica Living with Spiders spezza il mood squisitamente post-punk per riallacciarsi al fascino di Blow, veleno sì, ma addolcito da qualche zolletta di zucchero magari inzuppata in un bicchierino di liquore.
Formidabile la prova di Reed in Piece of my Mind, avviluppata ad un loop acido di chitarra e ad un basso che rimbomba dentro al petto senza soluzione di continuità, belli gli effetti, bellissimo il risultato finale, chiude Chickenfeed (The Halo Trees Mix) dal suono ispido e grezzo come la carta vetrata, incendiario come polvere da sparo ma intriso di una estraniante malinconia che esplode tra le perfette linee vocali in questo caso distorte e malate.
Driving Black è il più bel regalo che si potesse desiderare da una band che ha fatto la storia con una coerenza impagabile, un coraggio degno di nota e una totale disconnessione cercata e voluta dalla rutilante e sempre più sterile scena mainstream…per me musica classica.
https://www.red-lorry-yellow-lorry.com/
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