Zondini Et Les Monochromes
Noise
(KinG Records)
pop-rock
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A cosa servono i monumenti? Qual è lo scopo dell’iconografia? Che funzione ha alimentare il mito?
Credo di non sbagliare dando a tutte e tre le domande un’unica, stringatissima, risposta: ricordare, imparare, progredire.
Zondini Et Les Monochrome al momento della composizione, registrazione e realizzazione di questo Noise, quarto lavoro della band, non potevano prevedere che sarebbe accaduto uno degli avvenimenti mediaticamente più grandi, importanti, ampi, della musica contemporanea né che avrebbe avuto una tale eco ed una tale portata, rivelando quello che già si sapeva: la decisiva responsabilità che un singolo artista ha avuto nel determinare il progresso di tutta la musica pop (e non solo).
Sto parlando della morte di David Bowie e tra un attimo capirete cosa questo ha a che fare con Zondini ed i suoi.
Noise arriva nelle mie cuffie corredato di una cartella stampa infarcita di notizie, compresa la descrizione, traccia per traccia, dei brani che lo compongono; il loro senso, la loro esegesi, le notizie sulla loro realizzazione. Lo zelo della band fa un torto ai pezzi, quasi come fossero troppo gracili per camminare da soli, senza doverli tenere per forza per mano. Come se la necessità di spiegarli tradisse la poca fiducia nelle loro potenzialità. Il disco è un concept-album che narra la storia di Charlotte Marxxx, regina aliena giunta sulla terra dall’Ultimo Pianeta, che diventa protagonista mediatica conquistando l’amore dei terrestri, i quali cercano di imitarla ed assecondare i suoi desideri rinunciando pezzo dopo pezzo alla propria identità, fino a diventare un unico individuo.
Il disco, si legge nelle note, nasce dalla comune passione della band per i romanzi distopici e per David Bowie, appunto.
La tracklist è concepita prendendo ampia ispirazione da quella di uno dei dischi capolavoro di Bowie, indovinereste quale? La risposta è facilissima e, comunque, la storia dietro al concept è di per se un grosso spoiler. I brani (sorvolando sulle dettagliate descrizioni di cui sopra) sono quasi tutti costruiti musicalmente sulla rivisitazione, riscrittura, reinterpretazione di una serie di successi di Bowie. Citazioni fin troppo esplicite che in alcuni episodi diventano (scusate, ma devo dirlo) imbarazzanti. In alcuni pezzi vengono addirittura riproposti tali e quali gli incisi, gli strumentali, i testi di Space Oddity, The Man Who Sold The World, Suffragette City, Five Years, Life on Mars, Heroes ed altre, tante altre.
Zondini Et Les Monochrome sono dei bravi musicisti, d’esperienza, che possono contare su una chiara padronanza del loro stile compositivo. Lo si capisce da come dimostrano agio nel prendere pezzi di storia della musica e plasmarli, stravolgerli, personalizzarli. Tuttavia ci sono opere, che vengono definite arte, e che sono perfette così come sono. Le si conserva come monumenti, in musei, se ne crea una iconografia perché le si vuole preservare, pulite, dentro alle teche, circondate da paletti metallici e cordoni rossi. David Bowie e le sue canzoni sono una di queste opere d’arte. E non è perché ci ha lasciati da poco provocando un clamore inaudito ed uno strascico di omaggi e dimostrazioni di affetto durati giorni. È che Bowie ed i suoi brani hanno davvero ispirato generazioni ed anticipato stagioni, mode e stili.
Io non mi azzarderei a chiamarla solo sfortuna. Zondini ed i suoi non potevano prevedere ciò che sarebbe accaduto il 10 Gennaio scorso. Potevano, però, avere un maggiore rispetto e reverenza per un pezzo di storia e di cultura e di società contemporanea, che andava trattato con maggiore cura, preservandolo, non scimmiottandolo. Ché se lui, solo lui, è David Bowie e non uno qualunque, se quei brani sono tanto famosi, un motivo ci dovrà pur essere. Da fan (come lo sono, evidentemente, i Monochrome ) ho rischiato di urlare alla blasfemia e me ne dispiaccio molto.
Glisserò sulle scelte puramente tecniche di missaggio, equalizzazione, mastering, che non ho particolarmente apprezzato e che (soprattutto alcuni colpi di cassa che nelle mie cuffie sembravano martelli pneumatici completamente slegati dal resto) a mio parere fanno un ulteriore torto alla scrittura della band che pure ha una sua poetica abbastanza solida ed una capacità compositiva che non è affatto da buttare.
Un ultimo (giuro) appunto e poi non infierisco più: uno dei brani del disco si intitola Lenin/McCarthey; Ragazzi, mi rivolgo direttamente a voi: siete bravi, avete delle buone potenzialità, ma anche i Beatles, vi prego, no.
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