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Wonder Vincent: Fiori

Secondo disco per gli umbri Wonder Vincent, che acchiappano l’ascoltatore con vibranti riff di alt rock mescolati con jam acide e psichedeliche

Wonder Vincent

Fiori

(Autoproduzione)

indie rock

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[vimeo id=”133120643″ width=”620″ height=”360″]

Wonder Vincent- FioriFiori è il secondo disco dei Wonder Vincent, che pubblicano un corposo lavoro di 13 brani di rock alternative. La band umbra un lustro fa prese il nome dal loro incontro con Vincenzo Sparagna, direttore delle riviste Frigidaire e Il Male, e il poeta Vincenzo Costantino. Questo connubio di meraviglie li ha trascinati nel comporre musica propria, affacciandosi sui primi palchi nazionali e a partorire prima un Ep, e poi il primo album, The Amazing Story of Roller Kostner, impegnandoli in un lungo tour giunto anche oltralpe.

Figlio del precedente Kostner, il nuovo disco ha il suo punto di forza nei chiaroscuri in cui si rintanano i brani, con suoni acidi che dipingono le canzoni attraverso accordi sospesi che temperano i turbamenti sonici sommessi. Le canzoni vibrano di una certa potenza e alla melodia viene accompagnata nelle liriche una certa autoironia.

L’album scodella alcuni approcci chitarristici pacati in Fine e Trampoline Man, ma in tutto il disco ci sono ritmi secchi, stacchi potenti, crogioli di giri stoner, blues, rock realizzati attraverso intensi riff principali che ruotano attorno alle canzoni, rendendole orecchiabili ed accattivanti.

Dalla prima traccia Io No Italian assistiamo ad un ingresso onirico a tinte cupe della chitarra particolarmente suggestivo. Il riff pieno e compatto di Swag è un chiaro esempio di come le chitarre dettano legge in questo album, Ebony si lascia accarezzare dal brit rock più ruvido e Please è un livido affresco di chitarre convulse con stop and go.

Talvolta assistiamo ad esplosioni noise dopo una ballad come Old Jade, Spoon Rest è il singolo incalzante, con bassi penetranti. Il meglio lo danno però con Doombo, un pezzo dai toni metal e psichedelici, con cambi di tempo, code acide e distorte che penetrano l’ascoltatore in un impetuoso groove. I 7 minuti di Hiawatha sono una mini-suite conclusiva con diverse variazioni di un istrionico vaudeville sonoro.

Molta carne al fuoco in lingua anglosassone che fa venire l’appetito per i prossimi lavori più maturi dei Wonder Vincent.

 

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Luca Paisiello
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