When Saints Go Machine
Konkylie
(Cd, !K7 Records)
indie-electro
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Elettronica, una buona dose di pop e con un pizzico di musica orchestrale; i When Saints Go Machine sono questo e molto di più. Se con l’EP Fail Forever ci avevano dato un assaggio del loro talento, è con Konkylie che la band raggruppa dieci canzoni in grado di sintetizzare un nuovo modo di fare musica, sviluppato in ben due anni di produzione. Un album complesso, variopinto e strabordante di sonorità differenti, che può tanto affascinare quanto annoiare a primo impatto.
I When Saints Go Machine nascono nel 2007 come gruppo dance, figli della club generation. Poco tempo passa prima che i danesi Nikolaj Vonsild (voce), Jonas Kenton (tastiere), Simon Muschinsky (tastiere) e Silas Moldenhawer (batteria) si orientino verso un pop elettronico, abbandonando il ‘four-to-four beat’. Un paio di brani sul MySpace, la voce si sparge e la gente si incuriosisce. Nel 2009 la band vince l’annuale ‘Danish Radio Talent’ aprendosi le porte verso il panorama internazionale e nel 2011 suona al Roskilde Festival di fronte a 45000 persone.
Konkylie, termine danese per conchiglia, è un vero e proprio incontro di suoni di diversa natura, strumenti che si incastrano in un inaspettato rompicapo musicale e una parte vocale che si frammenta spesso in cori, controcanti e vere e proprie basi di canzoni, come già accadeva nel precedente EP (Pick Up Your Tears and Run). Il synth pop abbonda, come sempre accompagnato dal falsetto del frontman Nikolaj (Chestnut, Kelly) per poi passare a suoni tribali, percussioni e drops in Konkylie ed On the Move. Se l’elettronica è alla base del suono dei When Saints Go Machine, una moltitudine di voci, suoni dal richiamo sacro (Church and Law), musiche orientaleggianti (Whoever Made You Stand So Still) sono solo alcuni degli elementi che si possono riscontrare in questi dieci brani.
Konkylie richiama al synth pop più solare di Fail Forever, discostandosi dai riferimenti classico-orchestrali dell’EP (il viloncello di Greys and Blues e Fail Forever) per varcare territori inesplorati. Un album denso, complesso e che richiede una attenta analisi per essere ben apprezzato ed assimilato. Ottima alternativa per chi vuole assaggiare una nuova variante del synth pop.
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