Ultrasuoni Festival
Roma, 12 e 13 ottobre 2012
Circolo dgli Artisti, Init, Alvarado Street, Hula Hoop
live report
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venerdì 12 ottobre
Qualcosa è andato storto alla prima edizione dell’Ultrasuoni Festival. Da subito. L’idea è quella, di stampo nord-europeo, di coinvolgere una cittadina, un quartiere nel caso di Roma, in una serie di live legati tra loro da un filo più o meno conduttore e, soprattutto, da un titolo di accesso unico, mandando le persone da un club all’altro in giro per il “barrio”.
Molto bello, sulla carta. Peccato che i quattro club coinvolti nell’Ultrasuoni Festival sono “a due a due”, nel senso che seppure in linea d’aria tutti a un tiro di schioppo, il passaggio dei binari della ferrovia costringe a una passeggiata non faticosa, ma che con un programma così serrato fa perdere minuti preziosi.
Un cast con gli haedliners un po’ “su di età”, o passati di recente con successo proprio a Roma, un biglietto venduto a un prezzo secondo me equo per la manifestazione e lo sforzo profuso, ma non proprio “anticrisi” (e comunque martoriato da costi aggiuntivi di prevendita sempre più spropositati), hanno completato il quadro di un venerdì sera andato quasi deserto, Orb esclusi e dove comunque c’era poca gente. Molto meglio il sabato, con il Circolo pieno, ma assolutamente non zeppo, di nostalgici del post-punk di McCulloch e soci.
De Noir, Mushy e Confield, chiamati ad aprire la prima serata del Circolo, il venerdì, rappresentano diverse sfaccettature di suoni new wave, dark e post-punk. I Confield sono i nipotini che Ian Curtis non ha mai conosciuto e si divertono anche a suonare Blue Monday come se i New Order fossero sempre rimasti i Joy Division e non avessero mai acceso i synth.
I De Noir dal canto loro provano a infondere una ventata di romanticismo alla loro vena oscura, ma vengono un po’ troppo raffreddati dall’uso della drum machine (e comunque meritano un ascolto).
Altra storia per Mushy, il progetto di Valentina Fanigliulo che da quasi dieci anni, come una moderna sacerdotessa pagana, porta a spasso per il nord Italia e il nord Europa (assai poco nella sua natia Roma) un labirinto di incubi raccontati con atmosfere claustrofobiche che, per comodità ma ingiustamente, ricondurremo a Zola Jesus, anche se Vale ha ben altre fonti di ispirazione. Peccato che quando è rimasta sola sul palco, per un attimo l’ha tradita l’emozione. Mushy non è una scoperta, è solo un segreto ben custodito.
The Orb. Degli attempati signori di mezza età che escono da un pub inglese, montano due lettori Cd, un iPad e due computer e fanno una specie di super-dj-set. Finiti i tempi degli allestimenti a base di montagne di macchine e luci spaziali, oggi Alex Patterson e soci hanno su strada un disco dub (di dub vero) con Lee Scratch Perry e ce lo fanno ascoltare con tanto di bordate di ultrabassi. L’opener da Arancia Meccanica ci aveva fatto addirittura sperare in una specie di discesa agli inferi, mentre invece qui siamo dalle parti di un paradiso tropicale! Con la musica di stasera altro che architetture bianche e futuribili di Kubrick, il rimando è a sole, spiagge e belle ragazze! Il giochetto è noiosetto per la sua messa in scena e, passato lo stupore per la vocalità di Perry innestata sugli Orb (fisicamente assente, ovviamente, per la sua veneranda età), decidiamo di provare ad assaggiare Fujiya e Myagi, che ormai dovrebbero aver iniziato. All’Init non c’è nessuno e ci dicono di tornare a mezzanotte e mezza (assai diversamente di quanto indicato nel programma). Seguite le istruzioni, a mezzanotte e 45 ci dicono: ma è finito da mezzora! Ecco, cose come questa… non dovrebbero proprio succedere.
Ma è andata bene lo stesso. Perché mi sono lasciato convincere ad “assaggiare” H.E.R. all’Alvarado ed è stata una bellissima sorpresa (le sorprese dovrebbero appunto essere il “sale” di un festival). La nuova incarnazione artistica di Erma Pia Castrota, già collaboratrice di Franco Battiato, Rettore, Teresa De Sio e tanti altri, lascia davvero senza fiato. Interessante ma convenzionale quando s’esprime per voce e pianoforte, entusiasmante ed esaltante quando H.E.R. passa al violino, strumento che le è sicuramente più congeniale. Lo usa per musicare poesie, per destrutturare cover (Vasco Rossi, Eurythmics), per moltiplicare il pathos dei suoi versi, per aggiungervi sfumature emozionali e tocchi di nervosismo. Quello di H.E.R. è un progetto difficile, ma una volta avvicinativisi è impossibile non subirne il fascino.
sabato 13 ottobre
Il sabato già sul presto c’è più movimento. Il meccanismo del festival non prevede certo il posto assicurato: impossibile sapere quanti saranno per Echo & The Bunnymen a quanti per gli altri. Se un club si riempie… si deve passare a un altro. E nessuno vuole perdersi la reunion dei “coniglietti”, col risultato che c’è pochissima migrazione fra un club e l’altro.
E poi in apertura al Circolo oggi le band sono tutte straniere, chiacchierate, e un po’ di curiosità c’è, anche se ci troviamo costretti (per scelta, perché il Circolo non andrà sold out) a rinunciare a Gravenhurst e The Amplifetes.
Ai These Regning Days hanno fregato il piano dal furgone, in buona tradizione romana. Ma il loro pop-rock a-la Coldplay non ne risente più di tanto. Non brutto, no male, ma niente che si lasci ricordare.
Forte attesa, invece, per i Madrid di Marina e Adriano, ex Canser de Ser Sexy ed ex Bonde Do Role, conosciutisi in tour e da allora non più lascitisi. Tanto era (ed è) frizzante e sbarazzina la musica delle CSS, quanto è cupa e quella dei Madrid. Lei alla chitarra e voce, lui voce e tastiera, una drum machine messa in scena con una simpatica proiezione. Ma la noia sempre dietro l’angolo per colpa di una proposta musicale al posto sbagliato nel momento sbagliato, ma che soprattutto fa riferimenti stantii e senza guizzi a un panorama indie-folk annunciato come infettato da elettronica, ma che invece rimanda solo a discrete dosi di noia. Il pubblico si distrae e reclama Marina nuda, senza successo.
D’altro canto siamo tutti qui per Echo and the Bunnymen, mai dimenticati alfieri del post-punk più romantico e a tratti evocativo in circolazione.
Oggi Echo and the Bunnymen sono i soli Ian McCulloch e Will Sergeant, accompagnati da quattro musicisti di diverse fasce d’età e tutti molto in gamba. McCulloch sarà anche di nuovo a gennaio in Italia per presentare il suo progetto solista, ma nel frattempo, tra una compilation e l’altra, gli Echo hanno anche fuori un Ep.
E’ dal 2010 che sono di nuovo in giro, chiamati a fare inizialmente concerto in cui presentavano per intero Crocodiles e Heaven Up Here. Poi si sa, l’appetito vien mangiando e…
In un profluvio di luci soffuse blu, che alternate al viola accompagneranno tutto il concerto, l’apertura è per Going Up. I 53 anni suonati di McCulloch non si notano se non per un pesante giubbottone che tenta di nascondergli una stomaco incipiente, da bevitore di birra, anche se durante lo spettacolo si disseterà con acqua e latte! Sigaretta spesso tra le dita, occhiali scuri d’ordinanza, Ian prova a mettere distanza col pubblico, ma finisce per dialogarci spesso e volentieri.
Ma quello che importa è che gli Echo and the Bunnymen sono quelli di sempre: pronti a virare verso James Brown, Doors e Lou Reed, citandoli esplicitamente nei loro pezzi; pronti ad arrangiare, soprattutto con le tastiere, in versione più psichedelica i loro pezzi; pronti a farci venire i brividi, ancora una volta, con Killing Moon e a mandarci in brodo di giuggiole con Lips Like Heaven, ovviamente.
Una pura e semplice operazione nostalgia? Sì. Non solo. Un modo per ricordare a tanti giovani e giovinastri da dove arrivano certe sonorità e certi modelli compositivi? Direi proprio di no. Perché il pubblico era tutto piuttosto su di età, comprensibilmente anche e soprattutto perché, per ascoltare dal vivo la band dei vinili di papà o del fratellone vecchio in prevendita ci volevano 36 euro (il 20% in più del prezzo del biglietto alla cassa, che in tanti avrebbero scommesso di non trovare): non proprio poco in un momento anche offerte musicali più economiche faticano.
Comunque, bravi agli organizzatori dell’Ultrasuoni Festival, ancora una volta coraggiosi nelle loro iniziative. E’ la prima edizione (speriamo non l’ultima) e ci sarà tempo e modo per aggiustare il tiro, magari anche incastrando meglio gli orari degli concerti. Attendiamo con curiosità.
Scaletta concerto Echo and the Bunnymen @ Ultrasuoni Festival, Roma, 13 ottobre 2012
- Going Up
- Rescue
- Stormy
- Do It Clean
- Villiers Terrace
- Seven Seas
- Dancing Horses
- Rust
- Zimbo
- The Fountain
- Never Stop
- Think I Need It
- All That Jazz
- The Cutter
- Nothing Last Forever
- Lips Like Sugar
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