Tinariwen
Emmaan
(Anti)
world music
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E’ definito il “disco americano” questo Emmaan della band tuareg dei Tinariwen, quattordici tracce registrate lontanissimo dal loro Sahara, impresso per la storia discografica nel deserto di Joshua Tree in California, che poi la differenza tra queste due distese immense di sabbia quasi non si nota se presi mentalmente e nelle vibrazioni intense di questa musica dispensata dal tempo.
Abdallah Ag Lamida e il lader Ibrahim Ag Alhabib salvano le chitarre dopo che sono stati liberati dall’arresto effettuato dalle falangi islamiche nel loro paese, fuggono dal Mali insieme ai sodali, dalla guerra religiosa per approdare negli States e dare seguito logico e libero alla loro musica ipnotica e blù, a quel volo rock-blues tribale mischiato a suoni primitivi e traditional che, una volta pronto ad esercitare il suo trip sensoriale, è libidine allo stato solido.
Quattordici brani di musica “tishumaren” per uno stato di grazia interiore a livello massimo, suoni, visioni, segreti armonici e malie ancestrali circuiscono tutto e tutti, una forza magnetica che attrae e respinge nella migliore passionalità possibile.
Il bassista della formazione Eyadou Ag Leche spiega che la musica dei Tinariwen non è solamente una sfilza di note e accordi messi insieme a filare trame, ma anche una filosofia aliena che piomba dal cielo del deserto ogni qualvolta che una stella brilla ad intermittenza, e gli possiamo credere senza intoppo anche perché quello che entra nell’anima e negli orecchi di chi ascolta è un senso riappacificato col mondo terrestre e coi mondi che galleggiano in chissà quale altra parte del cosmo, un senso di spazio e tempo dilatato, indipendente da qualsiasi influenza.
In dischi come questo, sprecare parole o elencare titoli per descrivere il “che musica è” è una bestemmia, va ascoltato fino al profondo mistico del suo messaggio in silenzio e ad occhi chiusi, lontano dai rumori e col sentimento giusto per lievitare dal tran tran quotidiano; in questa avventura yankee anche la partecipazione umana e tecnica del chitarrista dei RHCP Josh Klinghoffer e una menzione più che speciale per il cielo che questo disco disegna all’infinito, stelle e sogni che da Timbuctù via California fanno impazzire di bellezza.
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