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Tiger! Shit! Tiger! Tiger!: recensione di Bloom

Lo shoegaze è vivo e vegeto e a tenerne alto il volume ci pensano i Tiger! Shit! Tiger! Tiger! col nuovo Bloom.

Tiger! Shit! Tiger! Tiger!:

Bloom

(Coypu Records)

shoegaze, noise

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Lo shoegaze è stato un genere che da noi in Italia è arrivato quasi per sentito dire, troppo schiacciato da un punto di vista temporale e del successo dalla tempesta grunge e dal successivo fenomeno del brit pop. Ci pensarono i Soon (il loro nome arriva proprio da una canzone dei mitici My Bloody Valentine) a sdoganarlo da un punto di vista commerciale, ma era ormai troppo tardi per essere compreso appieno nel nostro paese.

In realtà, questo genere andrebbe riscoperto, perché è davvero una miniera d’oro incredibile e la fortuna vuole che ci siano band come i nostrani Tiger! Shit! Tiger! Tiger! a farlo rivivere in modo ineccepibile come dimostra la loro ultima fatica, dal titolo eloquente Bloom.

In quasi un’ora di musica i ragazzi umbri riformulano tutto quello che c’era da conoscere e sapere su un filone che soprattutto in Inghilterra rimane un vero e proprio must che ogni buon rocker dovrebbe conoscere a memoria.

L’unica differenza, rispetto a band come i My Bloody Valentine o i Lush, tanto per citare due nomi a caso, è la presenza di una voce maschile (quella, nel caso di specie, del chitarrista Diego Masciotti) che rende l’insieme molto particolare.

Dall’iniziale Memory sino alla conclusiva Melting Forest è tutto un concentrato di chitarre suonate come lo spartito vuole (in alcuni casi ci sono anche echi dei primissimi Marlene Kuntz, ma alla fine siamo o non siamo in Italia?), con i brani che salgono parecchio di tono, dopo che vengono passati al setaccio più volte.

Probabilmente, anzi sicuramente, questo non è un album di facile fruizione, nel senso che bisogna essere disposti di un approccio serio e impegnato per poterlo apprezzare appieno. Se, però, qualcuno è a corto di nozioni sullo shoegaze, Bloom è un ottimo viatico che può condurre alla riscoperta di gruppi leggendari che avrebbero meritato un successo commerciale migliore rispetto a quello che oggi tutti noi conosciamo.

 

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Francesco Brunale
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