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Sweet Apple: The Golden Age Of Glitter

The Golden Age Of Glitter è la nuova uscita degli Sweet Apple, il super-gruppo di J. Mascis (Dinosaur Jr)

Sweet Apple

The Golden Age Of Glitter

(Tee Pee Records)

alternative rock, power pop

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[youtube id=”P7z0sCneXiA”]

Sweet Apple- The Golden Age Of GlitterChe J. Mascis fosse un musicista infaticabile non ne avevamo dubbi. Dopo il suo ultimo lavoro con i Dinosaur Jr di due anni fa, per il chitarrista americano è ora il momento di un nuovo album anche con uno dei numerosi progetti musicali in cui è coinvolto. Si tratta degli Sweet Apple, supergruppo composto anche da Dave Sweetapple dei Witch, Tim Parnin e John Petkovic dei Cobra Verde.

La band cinque anni dopo Love & Desperation, primo album, partorisce questo nuovo surrogato dal titolo The Golden Age Of Glitter, calderone di power pop, alternative rock, grunge e chi più ne ha più ne metta. Classico disco inutile e pallida imitazione di altre formazioni musicali. Ma d’altronde della scarsa qualità che sfodera Mascis già ce n’eravamo accorti con l’ultimo album dei Dinosaur Jr.

Lo scimmiottamento di Who e Foo Fighters rispettivamente in Reunion e Boys In Her Fanclub fa sorridere. Se ci si aggiungono gli effetti da live che richiamano l’arena rock allora è chiaro che gli Sweet Apple hanno preso una certa direzione artistica (ovvero quella più bassa possibile).

Il lato radiofonico è altrettanto importante, nel senso che quasi ogni brano è potenzialmente una hit. Nonostante tra gli ospiti di questo Cd ci sia uno come Mark Lanegan, che canta in Wish You Could Stay (A Little Longer), il livello rimane sempre lo stesso. L’assolo finale di Mascis (che in questo gruppo principalmente suona la batteria) cerca timidamente verso la fine di alzare la qualità, ma ormai è troppo tardi.

Stesso discorso in Troubled Sleep, dalle influenze grunge, e in I Surrender, che sembra cantata e suonata da una band alle prime armi.

Improbabili effetti vengono usati in Another Desert Sklyline, dai lineamenti psichedelici. Per staccare un po’ la spina dalle pesanti distorsioni e dai riff, non potevano mancare le tracce acustiche: la tenera Let’s Take The Same Plane dagli umori tristi e la Lennoniana You Made A Fool Out Of Me. La chiusura del disco è Under The Liquor Sign, una canzoncina indie dal finale ninnananna.

L’unico brano degno di nota è We Are Ruins, incrocio tra il madchester degli Stone Roses e le derive orientaleggianti dei Kula Shaker. Il punto forte è però soltanto la coda, visto che i primi quattro minuti sono soltanto un’imitazione dei gruppi citati. Sono due minuti nei quali il ritmo ipnotico la fa da padrone, tra gli ottoni e il free jazz della tromba.

Il fatto che l’unica cosa interessante del disco sono solo questi due minuti la dice lunga sulla qualità di The Golden Age Of Glitter, che sembra piuttosto un album di musicisti annoiati che suona solo per il gusto di suonare qualcosa.

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