Spiritualized
Sweet Heart Sweet Light
(CD, Double Six)
space rock, neo-psychedelia
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Passare da un’esecuzione per orchestra alla Royal Albert Hall di un intero album a un concerto sul famoso vulcano Eyjafjallajökull: roba da J. Spaceman, meglio conosciuto come Jason Pierce, che con gli Spiritualized pubblica Sweet Heart Sweet Light, settimo album a quattro anni di distanza dal precedente Songs In A&E. “Quando fai un disco, dev’essere l’unica cosa importante per te: questa volta, ho voluto scrivere qualcosa che contenesse tutto quello che amo del rock’n’roll music. Sono ossessionato dalla musica e dal modo in cui si possano combinare generi diversi: in quel mondo non ci sono regole”. Le fonti d’ispirazione per la realizzazione di questo lavoro, infatti, sono personaggi provenienti da ambiti alquanto differenti: Brian Wilson dei Beach Boys, l’evergreen Chuck Berry e il jazzista tedesco Peter Brötzmann.
Il disco si apre con il delicato violino di Huh? (Intro), poi è il turno di Hey Jane, così piacevolmente british; Little Girl e Get What You Deserve si trascinano noiosamente, ma la delicata Too Late è davvero emozionante. Headin’ For The Top Now è troppo noise, allora Freedom ci riscalda con il suo premuroso abbraccio. I Am What I Am non è niente di che, quindi ci prova Mary a rilassare le nostre frequenze; il punto più alto di questo lavoro lo raggiungono Life Is A Problem, una lettera aperta spedita direttamente al Paradiso, e l’avvolgente So Long You Pretty Things, entrambe in chiusura: troppo tardi, forse?
Jason Pierce ha affermato di non riconoscere se stesso in ciò che compone, perché così come la vita, anche le canzoni sono un flusso in continuo divenire: la parte meglio riuscita di questo ultimo lavoro, comunque, è rintracciabile soltanto nelle ballad più lente. Se il disco precedente raccontava il risveglio dopo la malattia, Sweet Heart Sweet Light rappresenta una rinascita senza dubbio rivedibile.
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