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Soul Asylum: recensione di Slowly but Shirley

Tredicesimo lavoro in studio per i Soul Asylum, che continuano la loro carriera con brani piacevoli, tra rock, soul e funky.

Soul Asylum

Slowly but Shirley

(Blue Élan Records)

alternative rock

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I Soul Asylum sfornano un tredicesimo album, Slowly but Shirley, che mantiene l’essenza del loro sound classico mentre si avventurano in territori tra rock, soul, blues e funky. Raffigurata in copertina è Shirley “Cha Cha” Muldowney, la prima donna delle drag racing, popolare competizione automobilistica americana, di cui è stata non solo una campionessa, ma anche ispiratrice per il movimento dei diritti delle donne.

Negli ultimi anni i Soul Asylum hanno continuato a reinventarsi, senza raccogliere il successo degli anni 90, attraversando cambiamenti nella loro formazione dove il solo Dave Pirner è rimasto alla guida, esprimendo la sua profondità emotiva grazie ad una maturità lirica dimostrata nelle composizioni. La pandemia aveva purtroppo azzoppato la visibilità del penultimo album Hurry Up and Wait, promuovendo il disco più che altro grazie alle dirette streaming, ricevendo tuttavia un’accoglienza positiva dalla critica, ma chiaramente i Soul Asylum sono rimasti sempre all’ombra di quel treno che certamente non ha deragliato, ma ha rallentato la sua corsa.

Il nuovo album composto da 12 pezzi è dotato di aperture accattivanti come nella iniziale The Only Thing I’m Missing, un bel brano carico di buone intenzioni con le sue  chitarre grintose e i ritmi vivaci che mantengono nelle melodie una certa orecchiabilità, presente anche nella successiva High Road, ma sempre piuttosto soft, mentre You Don’t Know Me, ispirata a Tom Petty, è un piacevole brano lento dal riff penetrante che parla della voglia di essere compresi.

È un buon inizio che va via via spegnendosi perché nella seconda metà del disco alcuni brani come Waiting on The Lord e Makin’ Plans sono meno ispirati, anche se If You Want It Back e Sucker Maker toccano buoni testi raccontando di lotte personali, riscatti e resilienze. Tryin’ Man è un buon funky e il finale di High & Dry è capace di chiudere discretamente un album senza tanti fuochi d’artificio.

Il singer Dave Pirner riesce ad esprimere la sua forza poetica nella scrittura, miscelando nel corso del disco ballate introspettive (Freak Accident) e canzoni di rock semplice e di effetto (Freeloader). La produzione di Steve Jordan (produttore e batterista che ha suonato con The Blues Brothers, Neil Young, Springsteen, Keith Richards e che ha sostituito Charlie Watts nei Rolling Stones) riesce a dare al disco quella dimensione di presa diretta che regala un sound avido di arrangiamenti sfarzosi, grazie a Dio.

Un lavoro dinamico e con una buona varietà stilistica, spaziando dal rock più classico a momenti funk e grunge. Slowly But Shirley non strizza gli occhi ad un ritorno alle origini precedenti a Grave Dancers Union, ma lascia comunque solleticare le orecchie con una bella manciata di brani piacevoli.​

Sito web: soulasylum.com

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Luca Paisiello
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