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Slash: Made in Stoke

Il famoso chitarrista inglese pubblica su DVD il meglio del suo repertorio in un live registrato nella sua città natale, accompagnato dal cantante degli Alter Bridge, Myles Kennedy

Slash

Made in Stoke

(CD + DVD, Armoury Records/Eagle Rock Entertainment)

hard rock, blues rock, heavy metal

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Mettendo da parte le divergenze che ha costretto metà dei Guns n’ Roses a separarsi da Axl che ormai tutti conoscono a memoria, ecco Made in Stoke, un’autocelebrazione di uno dei chitarristi più famosi della storia del rock contemporaneo. Slash ha messo in piedi progetti come Snakepit e gli ultimi Velvet Revolver, band che ha ricevuto maggiori consensi, più una lunga lista di collaborazioni con artisti del calibro di Eric Clapton, Rod Stewart, Michael Jackson, Alice Cooper, Lenny Kravitz, Motorhead ma anche Rihanna e Vasco Rossi, pubblicando nel 2010 un pregevole album solista bello denso di partecipazioni.

In questo live registrato il 24 luglio 2011 al Victoria Hall di Stoke-On-Trent, città dove è nato, Slash suona i principali brani che ha pubblicato a suo nome o con le band sopracitate, con una formazione che vede Bobby Schneck alla chitarra, Todd Kerns al basso e Brent Fitz alla batteria. La ciliegina sulla torta è Myles Kennedy, frontman degli Alter Bridge, prestato da Mark Tremonti permettendogli di sostenere Slash in tour mentre il resto della band riprendeva il discorso con i Creed insieme a Scott Stapp.

Il concerto si apre furiosamente con Been There Lately, l’opener post Guns degli Snakepit, per poi passare a Nightrain di Appetite e Ghost dall’album solista. La scaletta è bella carica, si passa a ritmi più tranquilli con Back From Cali, Rocket Queen e la splendida Civil War da Use Your Illusion. Per chi non ha potuto ascoltare l’album solista questa è l’occasione di accorgersi dei bei pezzoni come Starlight, Nothing To Say, Promise (scritta con Chris Cornell).

Il palco è senza fronzoli, con appena il bandierone del teschio con la tuba. Kennedy svolge il suo compito senza fare la rockstar, lasciando la scena a Slash sempre al momento giusto, ipnotizzando la platea con i suoi vocalizzi di due ottave sotto rispetto all’Axl di un tempo ma non sfigurando mai, concedendosi in un paio di occasioni due schitarrate per appesantire il sound. Scelta azzeccata e un po’ dispiace che non possa entrare nei Velvet Revolver visto che stanno cercando il sostituto di Scott Weiland.

Il bassista Todd Kerns lascia riposare Kennedy e si mette a cantare la Doctor Alibi che Slash aveva composto con Lemmy. Ovviamente c’è da suonare Patience, Slither da Contraband e Sweet Child O’ Mine. Pubblico caldissimo, teatro pienissimo, folla che partecipa cantando ogni singolo pezzo quando Myles invita a prendere il suo posto. Slash gigioneggia sul palco in una serata di grazia, più di due ore senza mai togliersi l’inconfondibile tuba e i Ray-Ban. Ovviamente non poteva mancare il celebre assolo de Il Padrino con 10 minuti di improvvisazione a tutto spiano.

Poi si va nel gran finale con il rientro della band sul palco a suonare nell’ordine By The Sword, Mr. Brownstone e la chiusura con Paradise City. Le cinque stelle piene sarebbero state meritate se sul palco fossero apparsi a turno Izzy, Duff e Axl e se questo concerto fosse stato ripreso allo stadio. Ma va bene così per regalarsi a Natale due ore di headbanging con gli angioletti che ti guardano stupiti dal presepe mentre si aspetta Gesù Bambino.

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Luca Paisiello
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