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Shiraz Lane: Carnival Days

Il secondo album dei rocker finlandesi Shiraz Lane spiazza per la scelta di contornare blues, funky e reggae i 12 brani di Carnival Days: segno di una band che non riposa sugli allori

Shiraz Lane

Carnival Days

(Frontiers Records)

hard rock

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Shiraz Lane- Carnival DaysQuando due anni uscì fa il disco di debutto dei Shiraz Lane, For Crying Out Loud, si parlò molto positivamente di questa band proveniente dai sobborghi di Helsinki. In terra scandinava l’hard rock scorre a fiumi e in questo ultimo decennio ha offerto la miglior proposta musicale proveniente dalle nuove band votate ai riff rocciosi e alle melodie aggressive. Certo poi molte di queste attingono platealmente alla discografia di Motley Crue, Guns n’ Roses, Skid Row, Poison tanto da risultare dei cloni (no, cloni non si può dire, diciamo che sono “ispirate da”, facciamo così).

Per gli Shiraz Lane è diverso. E’ vero che quel primo disco presentava brani orecchiabili che pur ricordando questo e quello, risultavano freschi e originali. La voce di Hannes Kett è stata fin da subito strepitosa, I ragazzi suonano insieme da una decina d’anni, con amicizie nate tra i banchi di scuola, e le parti di chitarra sono sempre protagoniste con riff di assoluto livello. Già nel primo disco c’erano delle canzoni che mostravano una certa ricerca compositiva e non il classico compitino per far vedere quanto sono bravi.

In Carnival Days veniamo completamente spiazzati. Un po’ come quando Enrico Brizzi pubblicò il non tenero Bastogne dopo aver scritto il zuccheroso Jack Frusciante è Uscito dal Gruppo. Al secondo disco gli Shiraz Lane cambiano scrittura, sembra di essere tornati ancora più indietro, verso il musical rock americano tipico degli Styx, per esempio, e lo fanno fin dalla prima canzone, Carnival Days, dove c’è rock, un pizzico di blues e, sul serio, un sassofono. Ti dà l’idea di un brano messo lì per sbaglio perché quando comincia The Crown sembra che è lì che inizia il vero disco con le vecchie abitudini: urla, assoli, batteria che pompa. Bene, la conferma arriva nel terzo brano Harder To Breathe anche se un po’ laccato e torniamo alla normalità.

Ma dura poco, perché è vero che trovi le ballad come Gotta Be Real e Hope che sembra fare il verso a Cry degli Aerosmith, forse storci il naso per la verve pop rock di Tidal Wave, ma poi ti arriva anche la più funkeggiante People Like Us con tanto di ditini sul pianoforte e si divertono a giochicchiare con un pezzo più lungo del solito, Reincarnation, pare una piccola suite di tre tempi con un intermezzo reggae alla Police.

Il disco è stato registrato a Stoccolma da Per Aldeheim, con l’intento di raccontare le esperienze di questi giovanissimi musicisti come se le scrivessero su un diario, con Kett arrivato per ultimo in studio per rifinire con le sue parti vocali, a volte un po’ troppo sopra gli strumenti, i dodici brani dell’album. Ammetto che l’impatto iniziale è stato deludente rispetto al loro primo lavoro, le mie aspettative erano ben altre, ma gli Shiraz Lane dimostrano personalità, creatività, disponibilità a percorrere strade inconsuete, inseguendo la fortunata via tracciata dagli H.E.A.T., talentuosa band svedese passata dall’hard rock a sonorità più ricercate.

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Luca Paisiello
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