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Red Car Burns: The Roots And The Ruins

Ruvida e compatta opera seconda per i lombardi Red Car Burns, The Roots And The Ruins è un buon esempio di come si possa utilizzare in maniera fresca un genere troppo spesso esausto

Red Car Burns

The Roots And The Ruins

(Cd, NoReason Records)

punk rock

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recensione-red-car-burns-the-roots-and-the-ruinsVengono da Lodi e questo loro secondo disco, The Roots And The Ruins, si è fatto attendere per circa quattro anni. Lanciatissima dal punto di vista internazionale (esce infatti in contemporanea in Europa e Stati Uniti e la band ha in cantiere un sostanzioso tour europeo) l’ultima fatica dei Red Car Burns è un disco punk rock fresco e arrabbiato.

Nonostante il genere sia stato usato e abusato in lungo e in largo, il risultato qui è tuttaltro che stantio e pedissequo, ma interessante e coinvolgente.

Tra ritmi sostenuti, suoni ruvidi e diretti, melodie accattivanti e un piglio artigianale che si adatta perfettamente al genere, The Roots And The Ruins è un album agile, compatto, che si ascolta piacevolmente più volte.

Gli otto brani del disco non variano in modo notevole l’uno dall’altro, bisogna ammetterlo, ma nonostante questo l’insieme riesce a evitare la monotonia e a stringersi in una coesione fatta di brani veloci, aspri, essenziali (complice anche una produzione dal sapore volutamente low-fi), una voce perfettamente calibrata sul genere e un impianto coinvolgente, semplice ma non scarno.

E in questo spazio di manovra si muovono A Long Sleep, l’anthem scorticato e arrabbiato che apre il disco; il più lento e scuro Unable To Answer, in cui la voce diventa quasi grido; Friday, un raggio di luce pacificante e l’intenso Roots/Ruins, roboante e ossessivo, le cui atmosfere sono riprese in chiave più sottile da Old Scant, così stridente che sembra esser stato lasciato al sole a seccare e dal metallico e aspro Things Are Changing Fast.

In brani come We’re Coming Home o il vibrante So Many Times, che chiude l’album con tempismo perfetto, un tocco più melodico mantiene però quell’amara ruvidezza che caratterizza l’album.

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Miranda Saccaro
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