Recensione Primavera Sound Festival
2 giugno 2012
Barcellona, Parc del Forum
live report
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E’ volata in un attimo: siamo già al terzo (e ultimo, per noi) giorno al Primavera Sound. Il Festival in realtà si chiuderà domani, domenica 3 giugno, col secondo grande concerto gratuito in piazza, con Yann Tiersen. Ma Roma è lontana da Barcellona, le ferie volgono al termine e già con un pizzico di nostalgia entriamo al Forum per la consueta abbuffata di musica.
Orfani di Bjork (che tempo fa ha annullato buona parte del tour europeo per problemi alle corde vocali), abbiamo ben presente che l’evento della serata sono i Beach House sull’immenso palco Mini. Victoria Legran e Alex Scally, i Beach House, appunto, che sul palco sono coadiuvati da un terzo musicista, già erano stati acclamati proprio al Primavera Sound due anni fa, ai tempi di Teen Dream. E seppure il recente Bloom probabilmente non è all’altezza del loro precedente album, le aspettative sono alte. E non andranno deluse. Con una bella scenografia e un onirico light-show, a riprodurre uno skyline dai cui palazzi si aprono delle finestre, giusto il necessario per far passare un po’ di luce mentre i musicisti sono praticamente in penombra tutto il tempo, la band americana ripassa tutto il campionario di scuola 4AD, Cocteau Twins in testa.
L’attualizzazione di un sound tanto caratteristico quanto unico, quello dell’etichetta inglese che è stata la colonna sonora di tanti “ex ragazzi”, come chi vi scrive, miracolosamente non sa di dejavu, ma ha il sapore di una vera e propria manifestazione di gratitudine. I Beach House, dal canto loro, ci mettono un gusto per la melodia tanto raro quanto prezioso; Victoria ha una voce che ha a che fare più con gli angeli che con le più belle creature di questo pianeta (le donne) e gli altri musicisti, seppure protagonisti in una miscela musicale perfetta, di primo acchitto sembrano semplicemente al suo servizio. Salvo accorgersi che le percussioni, mai invasive, sono fondamentali tanto quanto la chitarra per produrre uno stato simile a quello in cui ci troviamo passando dal sonno alla veglia, consci che sta per iniziare il più meraviglioso dei giorni (Voto: 4,3/5). Tracklist / scaletta Beach House @ Primavera Sound: Wild / Norway / Other People / Lazuli / Silver Soul / The Hours / New Year / Zebra / Wishes / Myth / Mile Stereo / Irene.
Cosa ci può essere di più antitetico dei Beach House?
Cafoni, tamarri, volgari, pacchiani, travolgenti, contagiosi. In una parola: Justice. Con uno dei light-show più belli e imponenti visti negli ultimi anni, con un palco faraonico (arredato con croce di ordinanza più due pile di finti Marshall che in verità erano schermi) hanno fatto ballare tutti, ma proprio tutti. Di tenere almeno un piede fermo… neanche a parlarne. Bordate di mega-bassi, hit single rimaneggiati, campionamenti presi da ovunque (dal nostro Simonetti/Goblin compreso), il gran finale col medley We Are Your Friends – Phantom Pt. II – On&On è semplicemente irresistibile. Cosa facciano davvero ‘sti due francesi sul palco è difficile da sapere e capire; il sospetto che si tratti di tutta una messa in scena e che di suonato ci sia più nulla che poco è forte. Machissenefrega. Il divertimento è assicurato e in una situazione-festival i Justice sono il gran finale perfetto. (Voto 4/5).
Tra le sorprese del Primavera Sound di quest’anno ci sono da annoverare i baschi Lisabö, attivi sin dal 1998, autori di cinque album e un Ep e praticamente sconosciuti da noi. Sono autori di un concerto a base di una furia iconoclasta che mischia sapientemente virtuosismi post-rock a violenze hardcore per comunicare un senso di claustrofobia e una carnalità che non può non esplodere nel più classico finale a base di chitarre frantumate, urla e musicisti rantolanti sul palco. Bravi, bravissimi. Poco prima di partire li incontriamo nella hall dell’albergo in cui alloggiavano (e in cui alloggiavamo anche noi): saluti e complimenti e… si scoprono simpatici e caciaroni come una simpatica scolaresca in vacanza. (Voto 4,1/5).
Clamoroso esordio live davanti a un grande pubblico, invece, dei pistoiesi King of the Opera, nuova formazione di Samuel Katarro. Violino+tastiere, chitarra+voce e batteria. Difficilissimo raccontarvi che musica fanno, quasi scontato definirli come Musica al di là di qualsiasi barriera di genere. Non vediamo l’ora che esca il loro disco, previsto per l’autunno inoltrato.
Un’edizione del Primavera Sound senza Yo La Tengo è come un disco senza musica. Alla sua quarta apparizione sugli scenari del Forum, la band del New Jersey – pioniera del magmatico genere dell’indie rock – ha rappresentato la degna conclusione di un programma fin troppo complesso e variegato, esibendosi in un live set senza apparenti sbavature. Difficile lasciarsi sopraffare dall’indifferenza davanti all’alternarsi di generi proposti dal trio americano, dal country folk al rock psichedelico e chitarristico; l’immensa platea del Mini stage, infatti, composta per gran parte da aficionados in delirio, durante la performance ha registrato anche numerose defezioni da parte di chi magari si avvicinava alla band solo per curiosità. (Voto 4/5) (Le righe sui Yo La Tengo sono di Ivan Masciovecchio).
Lontani dallo zucchero e miele in salsa pop di Saint Etienne, ci gustiamo i Chromatics (il 7 giugno anche a Roma, al Circolo degli Artisti). Americani, di casa in un’etichetta specializzata in italo-disco, sono autori di un electro-pop tanto elettronico quanto a tinte fosche. Anche con loro impossibile resistere a tentazioni danzerecce sulle note delle canzoni del loro recente Kill for Love. Peccato solo che dal banco mixer non ci restituiscano nel migliore dei modi la flebile voce della bella Ruth, anche impegnata in una cover di Kate Bush, irrobustita a base di bmp alti e che – almeno per qualità vocale – non fa rimpiangere l’originale. (Voto 3,8/5)
Praticamente è tutto dall’ultimo giorno del Primavera Sound. Abbiamo anche ascoltato più o meno a lungo Atlas Sound (assolutamente fuori posto in un contesto come questo), Godflesh (sound potentissimo, ma perché con la drum machine?), Wild Beasts (noiosetti) e Neon Indian (con una band che avrebbe bisogno di una bella coordinata e messa a punto).
Il bello di una manifestazione come questa è che se leggerete altre dieci cronache dagli stessi giorni… probabilmente in buona parte saranno diverse nella misura in cui vi parleranno di band diverse. Ognuno si crea il proprio palinsesto, a suo uso e consumo, in cui entrano in ballo mille considerazioni che vanno ben al di là del “dovere di cronaca”, ma che deve necessariamente tener conto del fatto che è pur sempre una vacanza, che dal palco San Miguel al Mini (i due più grandi) c’è circa un chilometro di strada, che a una certa ora le orecchie reclamerebbero certa musica (LFO, ad esempio), ma le gambe ti mandano a quel paese e rifiutano di fare l’ennesimo estenuante tragitto, che Scuba te lo perdi perché di stare un’ora e mezza (dalle 3 e passa di notte) a sentire musica che non ti piace o a girovagare in giro proprio non ce la fai più, e che… Insomma, al prossimo anno, Barcellona!
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