Primavera Sound Festival
1 giugno 2012
Barcellona, Parc del Forum
live report
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Sin dal pomeriggio si cominciano a vedere capelli cotonati e magliette nere: è il giorno dei Cure, di cui vi abbiamo riferito in altra pagina. Che la giornata abbia il sapore dell’evento lo si capisce subito da quanto poco agevolmente si riesca a spostarsi in giro per il Forum.
Ma non di solo Robert Smith vivono i festivaleros.
Dopo (almeno) dieci anni di stop, senza troppi clamori, senza sapere bene perché, tornano The Chameleons. In realtà la band post-punk inglese nella sua formazione originale è stata attiva solo dal 1980 al 1987, periodo in cui ha sfornato tre dischi uno più bello dell’altro, salvo poi indispettire i fan con una serie di album postumi. Altra reunion per il periodo 2000 – 2002, poi dieci lunghi anni fermi e ora di nuovo in pista, incuranti delle tantissime altre esperienze maturate in varie band dai musicisti: per i Chameleons il tempo sembra ogni volta essersi fermato alla metà degli anni ’80. E meno male! Il loro concerto è una lezione di stile e di sound per le decine e decine di band che cavalcano il revival post-punk, ma anche per molte dedite al dream pop, che potrebbero imparare come si confeziona una canzone da Mark Burgess e i suoi soci mancuniani. I Chameleons, incuranti di suonare col sole ancora alto, sono protagonisti di una performance notturna e sognante, che non tralascia di citare Trasmission dei Joy Division e che scatena gli entusiasmi nonostante Burgess si ricordi solo verso la fine di essere un front man e quindi scende a cantare sotto il palco, scatenando l’isteria collettiva. (Voto 4/5). Tracklist / scaletta The Chameleons @ Primavera Sound 2012: A Person Isn’t Safe Anywhere These Days / As High As You Can Go / Seriocity / In Answer / Monkeyland / I’ll Remember / Soul In Isolation / Singing Rule Britannia / Heaven / In Shreds.
Ogni medaglia ha due facce, come al solito. E quindi se il lato brutto di un festival così grande come il Primavera Sound è che a volte bisogna fare scelte dolorose, l’altro lato della stessa medaglia è la possibilità che si ha di scoprire nuove band, magari proprio quando s’è deciso di abbandonare un concerto noiosetto. E allora, a chi importa se Rufus Wainwright ammorba?
L’imbarazzo della scelta si risolve con I Break Horses, duo svedese che dal vivo si fa aiutare da un’altra coppia di musicisti. Autori di un solo album, Hearts, uscito lo scorso anno per Bella Union, provocano una pioggia di tastiere attraverso cui filtrano tutta la loro materia shoegaze, ovviamente a base di abbondantissime dosi di distorsori e feedback (My Bloody Valentine docet) e con arrangiamenti essenzialmente basati sui sintetizzatori, ma senza la paraculaggine degli School of Seven Bells. Dei geni? Assolutamente no, ma I Break Horses sono comunque perfettamente in grado di soddisfare il palato di orfani e amanti di shoegaze, wave, dream pop e compagnia oniricheggiante. (Voto 3,5/5).
Annullati i Melvins per non meglio identificate ragioni, dopo il concerto-kolossal dei Cure (cfr live report) ci separiamo. Il nostro Vincenzo Riggio tornerà abbastanza deluso dal concerto dei Death in Vegas (ma meno di quanto lo era stato nel pomeriggio per il black metal strumentale andaluso degli Orthodox) , Ivan Masciovecchio farà in tempo ad ascoltare solo tre brani della reunion dei Codeine, e io (con Cinzia e Gigi, amici della redazione di RockShock) decidiamo di ascoltarci i Rapture.
L’escenario San Miguel, nonostante il buon numero di persone assiepate sotto il palco, sembra vuoto dopo il bagno oceanico di folla dei Cure, ma Vito Roccoforte e soci non si fanno per nulla intimorire e danno il loro meglio per l’oretta e pochi minuti del loro concerto. The Rapture sono un gruppo nato attorno al loro batterista (Vito Roccoforte, appunto) e vivono ancora in pieno il filone che li ha portati alla ribalta, ovvero il revival post-punk in versione americana, musiche e band che guardano (guardavano?) tanto alle chitarre intrecciate quanto alle ritmiche dei Talking Heads. Il risultato è stato da più parti definito punk-funk e nel corso degli anni ha fatto morti e feriti, mentre invece The Rapture continuano imperterriti sulla loro strada, cominciando a mostrare qualche ruga ma regalandoci un concerto divertente e ben suonato (Voto 3/5). Tracklist / Scaletta The Rapture @ Primavera Sound: In the Grace of Your Love / Get Myself Into It / The Devil / Whoo! Alright – Yeah… Uh Huh / House of Jealous Lovers / Never Die Again / Echoes / Sail Away / Miss You / How Deep Is Your Love?.
Dalle 3 (di notte!) in poi l’atmosfera al Primavera Sound si fa decisamente piena di campionatori, computer, tastiere e ritmi pulsanti. Nel tentativo quindi di scrollarci di dosso la stanchezza accumulata, proviamo a farci prendere da Benga, preceduto dalla sua fama di produttore dubstep e con uno spettacolo sottolineato come live. A parte il fatto di cosa ci sia di “live” in due laptop che vanno da soli è tutto da spiegare (un MC/presenter che incita il pubblico a fare casino basta per la dicititura “live”?), dopo una interminabile intro Benga scarica sul pubblico dell’escenario Rayban scariche e scariche di watt, bordate di ultrabassi e suoni elettronici. Da quanto vediamo sufficienti per sedurre i tantissimi inglesi assiepati in platea, abbastanza per divertire i più, troppo poco per noi, che nemmeno a metà spettacolo preferiamo andare dritti dritti a farci abbracciare da Morfeo.
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