Primavera Sound 2013
Barcellona, 23 – 26 maggio 2013, Parc del Forum
live report
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Phoenix @ Primavera Sound 2013 – foto di Dani CantoIl Primavera Sound di Barcellona è per gli indie rockers italiani del ventunesimo secolo quello che era Reading nei ’90: un must, un luogo/evento/occasione/festival a cui necessariamente partecipare. E chi vi scrive, per ragioni meramente anagrafiche, non si è sottratto ad entrambi i “doveri”.
Scherzi a parte, il festival di Barcellona è diventato un gigante. 170.000 presenze di cui il 40% dall’estero, oltre 200 i concerti in programma, 11 i palchi allestiti all’interno del Parc del Forum (compresi i micro-stage), 7,5 milioni di euro il budget produttivo, 65 milioni di euro l’impatto economico sulla città. Numeri importanti e mostruosi e che, comunque, non hanno messo in crisi né la città né tantomeno lo spazio espositivo catalano, che con i suoi 95.000 metri quadri ha accolto i festivaleros in scioltezza, stremandoli a furia di migrazioni bibliche da un palco all’altro (un chilometro la distanza tra il Primavera e l’Heineken, i palchi principali). Certo, rispetto agli anni passati la geografia umana del pubblico è cambiata parecchio, passando dalla prevalenza di spagnoli piacevolmente rumorosi ai “visi pallidi” di inglesi e scandinavi, bruciati dal sole nonostante il vento davvero freddo che ha frustato incessantemente il pubblico (U.K., Francia, Italia e Scandinavia l’hit parade delle nazioni di provenienza del pubblico extra-spagnolo, ma forti presenza anche da Israele, USA, Australia e Repubbliche Sovietiche). Da notare che il look hypster (falsamente trasandato, in realtà curatissimo in ogni dettaglio e con le ragazze con il “doppio taglio” di capelli) non conosce davvero confini.
Ma veniamo alla musica.
I trionfatori del Primavera Sound 2013 hanno un nome ben preciso, un brand che da solo è capace di assiepare più di 50.000 persone sotto lo stesso palco, mandando deserti gli altri concerti in programma in giro per il Forum: Blur. A Damon Albarn e soci piace vincere facile e aprono le danze provocando il delirio con Girls Against Boys, per chiudere con Song #2; in mezzo una scaletta fatta tutta di grandi successi, di meccanismi scenici tanto rodati quanto efficaci, ma soprattutto di Canzoni con la maiuscola, in grado di solleticare la sensibilità pop di chiunque. E’ dei Blur anche il concerto più lungo del festival, 90 minuti contro i 60/70 degli altri gruppi.
Tra i successi annunciati quello di Nick Cave in buona compagnia dei suoi Bad Seeds. Il 56enne australiano, nonostante piazzi in scaletta 4 canzoni del suo non riuscitissimo ultimo album, e nonostante alcune clamorose assenze nella tracklist scelta, ha classe e carisma da vendere. La sua band, rimaneggiata negli ultimi tempi, è ben rodata e funziona a meraviglia. Lui, il Re Inchiostro, è tenebroso e incontenibile come sempre, artista di una classe, eleganza e carisma in via di estinzione.
Rimane un mistero il successo dei Phoenix, con pubblico in delirio impegnato a cantare a memoria praticamente tutte le canzoni, J Mascis che li raggiunge sul palco per suonare un brano con loro e cascata di coriandoli finale, con tanto di delirio in platea. Il mistero non si scioglie neanche dopo un concerto men che ordinario.
Gli stessi Dinosaur Jr, con un nuovo batterista, avevano dimostrato più di un cenno di stanchezza. La stessa che ha trasformato il concerto dei Jesus & Mary Chain da un evento annunciato a un buon concerto e nulla più, con i fratelli Reid statici come mummie e più che altro impegnati a fare il compitino senza neanche fare troppo rumore. La loro reunion è in piedi, seppur col contagocce, dal 2007 (quando li avevamo visti al Summercase di Madrid) e da allora, in teoria, stanno componendo le canzoni per un nuovo album, ma non gli crede più nessuno.
Peggio che andar di notte con la reunion delle Breeders, impegnate nella riproposizione integrale di Last Splash e a rovinarne le canzoni con imprecisioni varie e finali uno più brutto dell’altro. Appena dopo aver massacrato Cannonball almeno un terzo della platea abbandona le posizioni in cerca d’altro. Cocente delusione anche per The Knife, autori più che di un concerto (di suonato non c’era praticamente nulla) di una serie di coreografie in grado di sfiorare il ridicolo.
Tutt’altro spessore per i redivivi My Bloody Valentine. Seppure un loro concerto ha decisamente più senso in un ambiente chiuso, per amplificarne l’esperienza fisica provocata dal loro muro di suono, anche al Primavera Sound hanno scosso l’immensa folla radunatasi alle 2 e mezza del mattino per loro (mentre su un altro palco i Crystal Castles facevano anche loro letteralmente un bagno di pubblico, con Alice Glass già alla terza canzone in stage diving). Kevin Shields e Bilinda Butcher hanno i microfoni e ogni tanto provano a cantare, ma al pubblico non arriva praticamente nulla: le voci sono sepolte dal proverbiale wall of sound, che manda in pappa i cervelli del pubblico anche grazie al trip psichedelico proposto dai visual. La tracklist alterna (pochi) brani dal recente m b v con brani da Loveless e dalla marea di Ep che hanno pubblicato nel corso della loro carriera che, lo ricordiamo, sembrava essersi fermata 22 anni fa e invece continua a regalarci stordenti emozioni. Epocali.
Le Savages dal vivo hanno confermato tutto il buono e il meno buono di cui si chiacchiera di loro da qualche mese: belle canzoni, melodie killer, forte presenza scenica (compreso un imprevisto siparietto basso+batteria+balletti della cantante mentre la chitarrista era impegnata a sostituire una corda), ma anche “ispirazioni” al limite del plagio da un po’ tutta la new wave, Siouxie in testa.
Il noise dei Metz forse è un po’ fuori luogo, anche in un festival come questo, ma è comunque sufficientemente potente da farsi guadagnare la stima del pubblico. I redivivi Do Make Say Think non deludono gli appassionati di post-rock di scuola canadese e anni ’90, quello in cui erano i batteristi i veri motori delle tante band che hanno affollato il filone. E infatti i “nostri” ne hanno ben due in formazione. Lo stesso pubblico ha probabilmente ha apprezzato le sfuriate degli iberici Toundra (bravi anche se un po’ meccanici nello svolgimento dei loro brani, di stretta scuola Explosions in the Sky) o le infezioni math e metal dei portoghesi Paus (anch’essi con doppia batteria).
I Simian Mobile Disco si confermano maestri di una tech-house di facile ascolto e ad alto tasso di divertimento. Ma subito dopo il confronto è impietoso se paragonati a Four Tet (ascoltato anche da uno dei due SMD): Kieran Hebden, questo il suo vero nome, è partito da ritmi afro per poi, mano a mano, andare alla deriva verso un’elettronica colta in cui jazz e dubstep convivono felicemente. Semplicemente geniale. Divertenti, anche se di routine, i Glass Candy, impegnati in una specie di karaoke in puro stile italo disco.
Un po’ di tamarraggine in un festival ci sta bene. Quest’anno abbiamo dato sfogo ai nostri bassi istinti con i Fucked Up, canadesi dediti a un divertente e divertito hardcore. Il cantante rimane ben presto a torso nudo e per buona parte del concerto si esibisce sotto il palco. I Neurosis di tamarro invece hanno solo il look (e anche le movenze del tastierista). Il loro concerto è un incubo a occhi aperti, una discesa negli inferi del post-metal / sludge metal / chiamatelocomevipare: sono dei precursori, sono densi di contenuti, reclamano e ottengono attenzione e rispetto.
Ma il Primavera Sound è fatto anche di concerti nel comodo Auditorium, come la lezione di neo-minimalismo che ha dato Nils Frahm (acclamata da una standing ovation) o il concerto di Apparat e la sua band (probabilmente l’ultimo prima di tornare al progetto Moderat). Sasha Ring ha proposto per intero Krieg und Frieden, un disco che è la colonna sonora di uno spettacolo di danza e passato colpevolemente inosservato. Concerto da brividi per il tedesco Apparat, spettacolo fatto di visual / textures ma soprattutto di musica in cui elettronica ambientale alla David Sylvian, violino, violoncello, pianoforte, poche note di chitarra e i classici labirinti elettronici da laptop a cui già siamo abituati si fondono a meraviglia per 50 minuti di puro brivido.
I Dead Can Dance sono ormai in tour da un anno e mezzo. Del loro perfezionismo al limite della maniacalità (e anche un po’ irritante) vi avevamo parlato in occasione della nostra trasferta a Salonicco; stasera sono invece un po’ più sciolti, mischiamo un po’ (poco) le carte e si producono addirittura in due inediti, di cui uno spiegato da Brendan Perry come il suo punto di vista sulla crisi economica in atto.
I Thee Oh Sees si confermano come una macchina da guerra in puro stile garage e anche le canzoni dell’imminente nuovo album sono delle vere e proprie pallottole che vengono sparate in faccia a un pubblico sin troppo turbolento, tanto da suggerire alla band per ben due volte di interrompere il concerto per paura che qualcuno si faccia male.
Dei Los Planetas sarebbe meglio non parlare, ma visto che ci siamo… Veri e propri idoli locali, suonano come una edulcorata e scialba versione del lato pop dei Cure con semplici testi in spagnolo. Trascurabilissimi.
Per noi il festival finisce con un accenno di ascolto ai divertentissimi Hot Chip, che – nonostante siano le 4 e mezza del mattino dell’ultimo giorno – riescono in scioltezza a non far sentire la stanchezza alla platea e costringono tutti a ballare col loro electro-pop.
Quest’anno come non mai il Primavera Sound ha sofferto di una cattiva programmazione dei tantissimi concerti in programma. Buchi enormi e imbarazzanti sovrapposizioni ci hanno costretto anche a due ore consecutive di noia e a penose rinunce. Insieme ai tempi di spostamento, che da una parte all’altra del festival possono raggiungere anche i 20 minuti, dovrebbe far riconsiderare agli organizzatori il modo con cui schedulare i concerti. Quest’anno, inoltre, le plateee non venivano ripulite dalle migliaia di bicchieri di birra lasciati in terra (colpa della crisi?), costringendoci già dopo poche ore a camminare su un tappeto di spazzatura. Li perdoniamo perché per il resto il Primavera Sound è una macchina perfettamente oliata, in grado di garantire un altissimo tasso di divertimento e di contenuti musicali a qualsiasi tipo di pubblico.
Per il prossimo anno l’appuntamento col Primavera Sound è per il 29, 30 e 31 maggio 2014 e già è stata annunciata la prima band, la reunion dei Neutral Milk Hotel. Prevendite già dal 3 giugno.
Scaletta del concerto del Blur @ Primavera Sound 2013, Barcellona:
- Girls & Boys
- Popscene
- There’s No Other Way
- Beetlebum
- Out Of Time
- Trimm Trabb
- Caramel
- Coffee & TV
- Tender
- Country House
- Parklife
- End Of A Century
- This Is A Low
- Under The Westway
- For Tomorrow
- The Universal
- Song 2
Scaletta concerto di Nick Cave, Primavera Sound 2013, Barcellona
- We No Who U R
- Jubilee Street
- From Her to Eternity
- Red Right Hand
- The Weeping Song
- Jack the Ripper
- Tupelo
- We Real Cool
- The Mercy Seat
- Stagger Lee
- Push the Sky Away
Scaletta concerto Jesus and Mary Chain, Primavera Sound 2013, Barcellona
- Snakedriver
- Head On
- Far Gone and Out
- Between Planets
- Blues From A Gun
- Teenage Lust
- Sidewalking
- Cracking Up
- All Things Must Pass
- Some Candy Talking
- Happy When It Rains
- Halfway to Crazy
- Just Like Honey
- Reverence
- The Hardest Walk
- Taste of Cindy
- Never Understand
Scaletta Scaletta concerto dei Phoenix, Primavera Sound 2013, Barcellona
- Entertainment
- Lasso
- Lisztomania
- Long Distance Call
- Too Young / Girlfriend
- Trying to Be Cool / Drakkar Noir / Chloroform
- Sunskrupt! (a combination of “Love Like a Sunset” and “Bankrupt!”)
- Fences
- The Real Thing
- Armistice
- 1901
- Countdown (Stripped-Down Version)
- Don’t
- Rome
- Entertainment
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