Pink Floyd
The Endless River
(Parlophone)
psichedelia, ambient
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Dopo venti anni di silenzio tornano i Pink Floyd. Più o meno. The Endless River (ormai lo sanno anche i sassi) sintetizza circa venti ore di registrazioni prevalentemente strumentali realizzate tra il 1993 e il 1994, afferenti alle sessions di The Division Bell.
Si tratta di una sorta di progetto parallelo a quello che fino a poco fa era l’ultimo disco dei Pink Floyd, un esperimento ambient che il compianto Richard Wright chiamava colloquialmente The Big Spliff (la grande canna).
Sin dalle primissime battute di Things Left Unsaid non ci sono dubbi: è puro Pink-Floyd-style! Su tutti, la chitarra di David Guilmour è e rimane riconoscibile ad ogni nota, graffiante e in grado di catapultare l’ascoltare in un trip psichedelico ad ogni pennata.
Ed è stato proprio Guilmour che ha ripreso in mano i materiali di venti anni fa, aggiungendo alcune registrazioni (le rare voci comprese) e trasformando le improvvisazioni catturate sulle bobine in un’opera completa.
Ce n’era bisogno? Certo The Endless River non aggiunge nulla alla parabola dei Pink Floyd. Sicuramente tutto il suo sound è qualcosa di già sentito e collaudato. Ma allo stesso tempo la classe non è acqua! E quest’album nella sua ora scarsa ci (ri)porta al piacere dell’ascolto di musica in cui estro e fantasia non pongono alcun limite, a un’epoca in cui i dischi erano concept album e un brano aveva poco senso estrapolato dal suo contesto, a una modalità d’ascolto “puro” in cui la musica era intesa (vivaddio!) come una specie di rito e non come un mero intrattenimento.
The Endless River, insomma, è un gran bel disco. Per certi versi superfluo, allo stesso tempo necessario proprio oggi, epoca in cui la musica sta perdendo (ha perso?) buona parte del suo valore culturale.
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