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Pecori Greg: Merry Krishna Hare Christmas

A volte per uscire allo scoperto e dare voce a quello che abbiamo dentro ci serve un alter ego, qualcuno che si esponga per noi e che sembri “più rocker”. Ecco perché Valerio Canè ha creato Pecori Greg e prodotto Merry Krishna Hare Christmas

Pecori Greg

Merry Krishna Hare Christmas

(Trovarobato)

classic rock

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Pecori Greg- Merry Krishna Hare ChristmasAbbiamo bisogno di sentirci parte di qualcosa e abbiamo bisogno di essere uniti. Questo sentimento, che tra alti e bassi trova posto nelle nostre coscienze dalla notte dei tempi, è stato sentito profondamente anche da Valerio Canè, che in un momento di pausa dei Mariposa ha deciso di mettersi a fare canzoni. Canzoni che c’erano già, ma che per scarsa autostima e poi perché “Valerio Canè non è un nome da rocker” non erano mai uscite allo scoperto.

Ed è qui che entra in scena Pecori Greg, che forte di questa nuova condizione da supereroe dà alle stampe, con la preziosa collaborazione di alcuni amici, Merry Krishna Hare Christmas, un disco di opposti e ritrovata spiritualità.

Merry Krishna Hare Christmas è l’espressione di un mondo interiore, quello dell’artista, ovviamente, che attraverso i personaggi più disparati dà voce a storie immaginifiche quanto tangibili, fatte di opposti che si alternano e di generi che si palesano per poi confondersi, in un continuo intreccio musicale/canoro che ci avvolge e fagocita. C’è quindi spazio per My awesome Paperotto e i suoi difetti di pronuncia, il vecchio rocker Harley Parkinson e la varia gioventù che in preda agli sconvolgimenti ormonali popola la fiera (Mongojet). È una scrittura diretta che scaturisce dall’osservazione, ma con un tocco di benevola e affettuosa ironia.

La struttura musicale esplora diversi territori, senza però abbandonare mai completamente un’idea di rivisitazione del classic rock. Sia che si tratti dell’hip-hop parodico e parossistico di Ginger Bomber’s numbers o della vena dark rock dell’ottima Paparazzi & girls, è un folk rock di matrice americana a farla da padrona, con rimandi più contemporanei al Beck di Odelay. La chiusura dell’album vira su piacevoli sperimentazioni alquanto inattese: nei suoi sei minuti, la title track incarna, in un mood vagamente indiano, il sentimento di fratellanza, comunanza e inclusione di cui abbiamo tanto bisogno, tramutando questa esigenza in una preghiera, una reinterpretazione dell’Ave Maria in chiave tex-mex, non a caso ribattezzata Ave Mariachi. Che a raccomandarsi a qualche dio in più non fa mai male…

 

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Simona Fusetta
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