Paul Weller
Saturn’s Pattern
(Parlophone)
rock
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Torna il Modfather Paul Weller col suo dodicesimo disco di carriera, Saturn’s Pattern, e allora cosa ci si può aspettare più da questo artista multi-poliedrico e della sua anima costantemente rimessa in gioco? Tutto e tanto, solo album che mantengono alta la sua figura creativa, la propria immagine e un’ulteriore scolarizzazione rock per tantissime band di primo pelo, quegli insegnamenti stilistici che hanno reso “intoccabile” questo rocker mondiale (già leader dei Jam e Style Council).
Nove tracce e una mare di ospiti, da Andy Croft a Steve Cradock, Josh McClorey degli Strypes e il vecchi amico dei Jam Steve Brookes e udite udite la band che tanto piace a Paul, quei Syd Arthur che tanto hanno dato – in fatto di arrangiamenti – a questo bel disco.
La vena dell’artista è piena di linfa elettrica, funky soul anni 70,s, stupende ballate ariose, riff blues e aree new wave sono tra le più importanti tinte che la tracklist offre all’ascolto, un lavoro che pone Weller in uno status mai simbolico ma in prim’ordine attivissimo sebbene la lunga “stagione”.
Tutto suona impeccabile, lo stompin’ rock blues di White sky, Long time, il soul etereo Pick it up, il pop raffinato che brucia Phoenix, il brivido in slide che pettina In the car e le metafisiche eleganze della voce di Liam Magill dei Syd Arthur che in These city street dà la botta finale a tutto il lotto.
Ogni lavoro del Modfather ci riporta indietro e in avanti, qualsiasi cosa da lui toccata, suonata, cantata fa parte di quella classe cristallina che solo i miti possono concedere. Della serie: ogni commento in più è superfluo.
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