Ought
Sun Coming Down
(Constellation)
post-punk
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Saranno anche gli eredi acclamati di certi Television schizofrenici, ma non si può proprio dire che i canadesi Ought – sebbene siano solo al secondo disco – la ribalta non se la stiano guadagnando, sudando. Certo il loro sound potrebbe essere definito la continuazione ottenebrata – specie nel cantato di Tim Beeler in Darcys – di quello che Tom Verlaine officiava, ma vive in una personalità unica che si fa largo nel post-punk, e Sun Coming Down ne differenzia (leggermente) le mire e i bersagli primari e quello che si va ad ascoltare è pura scura ipnosi allucinata che lascia segni.
Otto brani nervosi, tesi, elettricamente casinari e bastonati, dove chitarre ferrose e scampoli di melodia malata nutrono una energia totale di dissonanze, larsen, pazzie di distorsori e liriche penitenti di valore; disco che fa ribollire il sangue nelle vene mentre scandisce “motivazioni” cogenti come la disintegrazione di valori, malesseri urbani ed esistenziali, non un gusto retrò semmai un rinascimento post-punk, un retaggio attivo che pensa e suona al presente ciò che detestava nel passato.
E tra interrogativi, paure e colori sfumati di grigio, avanzano la disillusione Reediana di Passionate turn, il caos apocalittico The combo, il punk ossessivo che fa tremare Celebration e l’istrionismo sbicentrato di Never better, poi il minimalismo e la visceralità compressa che circola dentro il disco vi comparirà in tutto il suo splendore sickness.
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