Negrita
Dannato Vivere
(Cd, Universal, 2011)
pop, ock
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C’è chi dice che con questo Dannato Vivere i Negrita tornino al rock dopo le sonorità latine di Hell Dorado, così agli amici che già con l’Uomo Sogna di Volare si erano allontanati dalla band aretina li ho invitati a tornare sui propri passi ascoltando il nuovo disco. Ma finito l’ascolto mi hanno domandato se non avessi sbagliato disco, rimanendo sospesi al termine “rock” che avevo usato per convincerli.
Il titolo dell’album è assolutamente biografico, musicisti diventati padri e mariti (Immobili) che devono fare i conti con l’umana battaglia e i drammi personali come chiunque, anche loro persone attanagliate dallo scossone politico ed economico che stiamo vivendo. Nei tredici brani che compongono il disco i Negrita ci svelano come vedono oggi questo mondo, con le sue contraddizioni e le incertezze delle persone che sembrano manichini allineati, come ci illustrano nell’iniziale Junkie Beat.
Un rock esageratamente elettronico viene fuori da Fuori Controllo, il brano più trascinante del disco, che condanna un Paese allo sbando capace di catapultare “le speranze di una generazione sui binari morti alla stazione”. Brucerò per Te e Dannato Vivere sono i brani più profondi e dolenti in cui viene evidenziato il malessere, ballata malinconica la prima, ritmi allegri nonostante i contenuti del secondo brano citato, mentre in Per Le Vie Del Borgo ritroviamo marcatamente le sonorità del precedente disco.
Queste alla fin dei conti tendono ad essere più vicine agli ultimi due album che a quelle degli esordi, aggiungendo una produzione ammirevole, quella di Barbacci, splendida e pulita, che parlando di “cose serie” riesce a non incupire con i tipici suoni grevi che in genere contraddistincono i “dark album”, bilanciando sound, emozioni e parole grazie all’esperienza di 8 album in studio e tanto rock on the road. Sembra quindi di assistere ad una composizione naturale e libera da ogni gabbia imposta, maturando a mio parere ancora di più il songwriting, sebbene mi aspetto sempre di ritrovare le sonorità e soprattutto le chitarre del passato.
Pau, Drigo e gli altri ovviamente non si macerano certo sul dolore, ma ci invitano ad alzare la testa nel Giorno della Verità attraverso una festa della Vita Incandescente. E ci piace immaginarli dopo tutti questi anni di musicanti barricaderos a prendere un po’ di fiato come cantato in Bonjour, immaginandoli adagiati su una panchina di una domenica al dì di festa e raccogliere i cocci della propria esistenza con la consapevolezza che le cose vanno così, e bisogna anche guardare oltre.
Proprio in tutta risposta a chi come me scassa la minchia con il fatto del rock, la band di Arezzo risponde con La Musica Leggera è Potentissima, un brano in cui convivono tutti i “colori” della musica e dove ci ricordano che reggae, junk, funky, punk, bluesy, grunge, clubby, dub, elettro e loud sono sempre trendy e belle da suonare ed ascoltare. E’ questo che ormai fanno, magari risultando una band diversa dai “vecchi tempi”, ma sempre sinceri. Personalmente i primi cinque brani del disco sono discreti, e poi ci si perde in un baillame di canzoni tutto sommato già sentite, ma alla fine a fondo disco emerge una canzone esageratamente bella, Splendido, in cui mi viene difficile criticarli dopo tutti questi anni in cui hanno mantenuto comunque la loro musica a un buon livello, nonostante questi cambiamenti di rotta.
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