Neapolis Festival
Napoli, Acciaierie Sonore, 9 e 10 luglio 2011
live report
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La nuovissima Venue delle Acciaerie Sonore di Napoli si prepara al grande evento del Neapolis Festival 2011.
9 luglio
La kermesse parte sotto una stella poco fortunata per la rinuncia negli ultimi giorni dei Marlene Kuntz per una polemica divampata per un mancato accordo economico.
Il pomeriggio torrido non aiuta le prime band a salire sul palco: il pubblico è ancora distratto e l’arena semivuota per le esibizioni dei vincitori di Destinazione Neapolis The Shak and Speas, e degli ottimi Park Avenue, autori di un rock energico che a tratti coinvolge.
Le prime scintille del festival vengono con gli Architecture in Helsinki, che verso le 19 prendono posto nell’arena di Bagnoli.
Il gruppo australiano raduna sotto il palco un discreto numero di persone (nonostante il caldo e l’orario) e quando il Sole decide che è ora di dare una tregua al pubblico del festival la band riesce ad alzare il loop del concerto: lo strass blu di Kellie Sutherland e il piglio danzereccio di pezzi come Do The Whirlwind e Wishbone fanno la loro parte. Gli spunti innovativi dell’elettronica di dieci anni fa sono stati sostituiti da un’attitudine giocosa e danzante che in qualche punto del live non sfigura. Personalmente credo che abbiano giocato a loro sfavore una serie di fattori: il calore torrido e il pubblico poco coinvolto sono stati due fattori che hanno influenzato la performance.
Simpatici.
L’arrivo delle prime luci della sera porta sul palco uno dei pezzi da novanta del festival. Attesissimi dal pubblico napoletano arrivano sotto i riflettori i Mogwai.
Il post-rock emozionale dalle tinte prog emoziona la platea campana, anche se la band appare un poco fredda e scarsamente incline al coinvolgimento emotivo. I pezzi del nuovo Hardcorde Will Never Die But you will passano a pieni voti la prova live: da segnalare l’apertura magica di White Noise, e la più energica San Pedro.
Le progressioni elettro mistiche della band scozzese ipnotizzano il popolo del Neapolis, lo show psichedelico (con tanto di video-art e spettacolo di luci) coinvolge gli spettatori, arrivano le atmosfere oniriche di Hunted By A Freak e il viaggio ascetico di You’re Lionel Richie. Nonostante il contatto diretto con il pubblico rimanga pura utopia (a parte qualche sporadico “Thank You” a fine canzone di John Cummings), i Mogwai dimostrano di essere una delle punte di diamante del post rock contemporaneo. Lo show della band scozzese alza gli standard qualitativi del festival, e conferma Braithwhite e soci come una delle live band più quotate del panorama attuale. Una sicurezza.
Verso le 23 il palco ormai si è fatto rovente, e la platea elettrizzata attende solo l’arrivo degli headliner della serata, gli Skunk Anansie. La band inglese dimostra di avere un discreto seguito in città, e il concerto si prepara ad essere memorabile.
Quando il gruppo arriva sul palco il delirio non si contiene, la mise stravagante di Skin e l’attitudine aggressiva scatenano il furore. I primi minuti di esibizione sono violenza pura.
Il crossover di Yes It’s Fucking Political, spiana la strada alla doppietta che stende il pubblico. Charlie Big Potato e il singolo Because of You (che evidenzia le doti vocali di Skin) sono da brividi.
La front-girl è un animale da palco incontenibile: corre, scalcia, balla, gioca con il pubblico. Personalità istrionica e voce impeccabile, Skin oscura in dieci minuti tutto il resto della band.
Nel frattempo la scaletta va avanti fra crossover poderoso e alternative: i classici del passato riscuotono indubbiamente il successo maggiore nel pubblico del festival. Il coro dei napoletani si compatta su Weak, il pogo si scatena su una esplosiva Twisted. La prima parte dello show si chiude sul classicone Secretly, canzone che mantiene intatto il suo fascino romantico.
L’apoteosi arriva sulla canzone più famosa della band , l’evergreen di serata: Hedonism. L’alternanza fra cori da stadio e violenza elettrica crea un sali/scendi emozionale a tratti piacevole che rende il concerto un happening molto dinamico e mai noioso.
La reunion del 2009 pare aver giovato ai quattro inglesi, che sono riusciti a demolire le critiche a colpi di live incadescenti. La band appare in forma smagliante. La classe non si contiene quando sfoderano una Brazen (Weep) che rasenta la perfezione, dimenticata dai più ma apprezzata da molti . C’è spazio per la situazione italiana quando Skin prima dell’inedito I’ve had Enough, chiede al pubblico in delirio: “Italy, have you had enough??”
Little Baby Swastyca, The Skank heads (get Off) e Tear the Place Up completano l’opera di una live band selvaggia.
Tutta l’energia del primo giorno è stata prosciugata dagli Skunk Anansie. Violenti.
10luglio
Il secondo giorno del Festival propone una line up degna dei migliori club elettronici d’Europa. La scaletta prevede l’esibizione di Battles, Hercules and Love Affair e Underworld.
Dopo l’ottimo set dei Crocodiles, verso le 20 è il turno dei Battles.
Il pubblico comincia a radunarsi sotto il palco per una delle band più attese del Festival. Il gruppo americano reduce dalla pubblicazione dell’ottimo Gloss Drop propone un set energico dai ritmi sostenuti. Il viaggio elettrico del gruppo è valorizzato dagli spettacolari video wall posti alle spalle del batterista che rendono l’esibizione un’esperienza audio visiva impressionante.
Pescano a piene mani dall’ultimo lavoro ma anche dal precedente Mirrored, regalando al pubblico l’attesissima Atlas.
C’è spazio anche per una piccola incursione nel privato di uno dei membri del gruppo, che dichiara in un tripudio di applausi le sue presunte origini “terrone”.
Verso le 22 il palco viene invaso da una enorme consolle: il pubblico è pronto a danzare sulle note degli Hercules And Love Affair.
Chi attendeva la presenza di Anthony Hegarty (leader degli Anthony and the Johnsons) rimane però a bocca asciutta. Il cantante è assente, nonostante venga spesso indicato come membro ufficiale della band.
Il collettivo del Dj Andrew Butler si presenta con alla voce tre incontenibili protagoniste che arringano la folla sulle note delle canzoni più famose del gruppo rivisitate in chiave disco-dance.
L’arena del festival da ritrovo rock si trasforma in un immensa dance-hall all’aperto, quando parte Blind ormai la trasformazione è avvenuta e il festival è pronto per accogliere i veri principi della serata.
Gli Underworld hanno l’onere di chiudere la manifestazione.
Dalla piattaforma multimediale posta in mezzo al palco Rick Smith e Darren Price lanciano sul pubblico campionamenti vertiginosi e veri e propri pezzi di storia dell’elettronica.
Dopo la breve introduzione arriva sul palco Karl Hyde che infiamma il set della band.
La dance hall ormai ha tutte le caratteristiche di una discoteca a cielo aperto e gli Underworld spingono sull’acceleratore.
La chiusura del festival è affidata alla leggendaria Born Slippy, che chiude la manifestazione in un tripudio di danza ed euforia.
La degna conclusione di una kermesse che rappresenta ancora oggi, uno dei grandi happening musicali del Mezzogiorno.
Non ci resta che ringraziare, ancora una volta, gli organizzatori di un Festival che riesce ancora a portare nomi di un certo livello in città. Grazie Neapolis, ci vediamo l’anno prossimo.
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