N.A.M.B.
BMAN
(Cd, Monotreme)
elettronica, rock
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Possibile che ancora una volta se ne siano accorti tutti tranne noi? La stampa europea si prodiga in complimenti, e noi, che questi talenti li abbiamo a portata di mano, li snobbiamo. Di chi stiamo parlando questa volta, visto che un’affermazione del genere non suona nuova? E’ il turno dei torinesi N.A.M.B., tesi ora nello sforzo di ottenere anche in patria l’attenzione che meritano, ma che spesso langue nei confronti di chi tenta una strada non propriamente mainstream. Non che etichettarli sia facile, tutt’altro: BMAN è un mix di rock, elettronica, shoegaze, persino glam, che spiazza e affascina nel susseguirsi delle sue 18 tracce.
Nati nel 2004 nel capoluogo piemontese, i N.A.M.B. hanno subito fatto parlare di loro grazie a diversi remix, alla collaborazione con Madaski e principalmente a un album d’esordio contenente tracce scelte come colonne sonore di film e trailer di film festival, con video in rotazione sulle principali reti musicali. Dopo un tour che li ha visti condividere il palco con i principali gruppi italiani, e dopo vari rimaneggiamenti a livello di line up, la band assume la connotazione definitiva (Davide Tomat – voce, chitarre e tastiere, Gabriele Ottino – chitarre, basso e tastiere e Davide Compagnoni – batteria) e inizia a lavorare al nuovo album, che però vedrà la luce solo verso la fine del 2009 (in Europa) e la primavera del 2010 (in Italia).
BMAN è un concept album basato sulle avventure dell’omonimo protagonista, che si snoda in un dedalo di generi musicali. Impossibile quindi dire che dal brano di apertura, T.C.3, è possibile capire l’orientamento di quest’opera. Fin dall’inizio è però chiaro che la band è stata influenzata da quello che negli anni novanta era considerato l’underground italiano (penso a Running, che mi ha ricordato Milano Circonvallazione esterna degli Afterhours, o a Bye bye sides, di facile rimando ai Verdena); meno chiaro è il modo in cui questi tre talenti riescono di traccia in traccia a rielaborare tale base in chiave talvolta rock, talvolta elettronica o noise.
In quest’album c’è spazio davvero per tutto, anche per l’inimmaginabile. Trovarsi a metà del percorso auditivo davanti a un pezzo come Musichetta in pausa sigaretta, in parte cantato in italiano e dalle atmosfere vagamente hawaiane, consentitemi la citazione, non ha prezzo. E nemmeno continuare il viaggio e trovarsi, dopo pochi minuti, proiettati nel rock di Champagne, nel noise più acido di Supernaturaloser (che non ha niente da invidiare ai pezzi degli Underworld) e nel carillon memoria d’infanzia di Bye bye sides, in un vortice di raffinata eleganza e innovazione.
C’è un sottobosco musicale in Italia del quale non abbiamo la più pallida idea, ma che sfornerà band che daranno lustro al nostro paese sulla scena internazionale. Potete scommetterci.
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