Motherfucker
Confetti
(Sick Room Records)
hardcore, noise, stoner
_______________
[youtube id=”uMg2k_pA2vU”]
Se dico Athens, Georgia, molti di voi risponderanno inevitabilmente R.E.M. ed alcuni, forse, B-52’s. Tanti si immagineranno atmosfere folkeggianti o al massimo indie-wave.
Ebbene, la band di cui parelemo ora, a dispetto della città d’origine, è di tutt’altra pasta. Sto parlando delle Motherfucker, trio tutto al femminile che di recente è uscito col primo full-lenght, Confetti, dopo un interessantissimo EP dato alle stampe un anno fa.
Le note che accompagnano il supporto sono di quelle che piacciono a me: senza fronzoli e dritte al nocciolo. Si prendono solo una briga, quella di consigliare con che modalità ascoltare le nove tracce del disco. Dicono di lasciar perdere le cuffia, spalancare porte e finestre e sparare lo stereo ad alto volume. Ok, l’ho fatto!
Sì, certo, ora volete sapere quale è stato il risultato. Sarò breve: UNA BOMBA!
Le influenze del trio si fanno strada a partire dal hardcore di stampo ’90, soprattutto quello suonato dalle parti di Chicago, se capite cosa intendo. Raccolgono solo in parte il testimone di L7, Bikini Kill, Sleater-Kinney e Babes In Toyland, ché il termine riot grrrl si addice alle Motherfucker esclusivamente nella misura che caratterizza il livello di rabbia ed energia che trasudano questi 28 minuti di pressione sonora e la loro fisiologia. Accostarle a quel filone sarebbe riduttivo e scorretto: qui ci sono echi stoner, noise, punk, ma soprattutto post-hardcore.
La veemenza e la foga con la quale pestano dall’inizio alla fine è notevole. Le prime note sono quelle di I’m Fucking Dick Dale, il brano più QOTSA del lotto, che ricorda nel riff iniziale e nell’incedere della strofa Sick Sick Sick, ma sono minuzie perché quando il brano inizia a srotolarsi la personalità delle tre donzelle sale a galla. Methwitches è forse l’episodio più conformista e che più si avvicina al filone riot grrrl di cui sopra. Wild Cherry Nightmare, I Want The F e Carl Sagan’s Ghost sono la prova di quanto a lungo le Motherfucker abbiano ascoltato il catalogo Touch And Go e sono anche la prova di quanto una delle chiavi del tiro incredibile di questo combo sia la funambolica batterista Erika Rickson. Capace di un batterismo che lascia senza fiato e ricco di groove e carica emotiva e comunicativa, si staglia sui muri sonori imbastiti dalle colleghe con le corde a tracolla e sale in cattedra a dispetto degli amplificatori tirati a palla delle due comprimarie.
Good Time è una marcia autorevole da sangue alle orecchie, quasi Fu Manchu, mentre la title-track Confetti (In Your Fucking Face) è quello che si direbbe il manifesto programmatico della band, condensando in un unico brano tutto quello che le tre statunitensi si propongono con questo ambizioso progetto musicale. Un progetto nato quasi per caso, come un side-project da “una botta e via”. Un unico concerto in programma, poi avrebbero dovuto sciogliersi, ma non prima di aver dato agli astanti una serie ben assestata di schiaffoni distorti.
Per nostra fortuna gli intenti originali sono stati traditi ed all’ascolto di Nobody Leave This Place Without Singin’ The Blues quello di Erica Strout, Erika Rickson e Mandy Branch sembra un progetto tutt’altro che improvvisato, anzi, è evidentemente sorretto da ottime basi tecniche e musicali dalla quali trarre una variegata ispirazione. Il disco si chiude con ZANG! che è un onomatopeico, probabilmente, per il riff di chitarra alla base del brano tiratissimo.
Ritornelli che si avvinghiano alle orecchie, muri di distorsioni, riff affilati come katane, batteria di altissima levatura, femminilità tagliente e cinica, foga da vendere. Le Motherfucker sono un nome da tenere bene a mente la prossima primavera quando saranno in Europa per la loro serie di date al di qua dell’Atlantico. Scommetto che ne vedremo delle belle da queste tre: la loro musica sembra proprio guardarti negli occhi con un sorriso folle ed un coltello nascosto dietro la schiena, perciò se siete patiti di indie-rock e cantautori strampalati e rapper da giardinetti state alla larga, potreste rischiare la vita!
Gli ultimi articoli di Antonio Serra
- Intervista ai Mokadelic - January 13th, 2017
- Gran Rivera: Pensavo Meglio / Pensavo Peggio - December 12th, 2016
- Intervista a Gaben - December 3rd, 2016
- Before Bacon Burns: La Musica Elettronica è il Futuro - November 21st, 2016
- Joseph Parsons: The Field The Forest - October 19th, 2016