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Morrissey: Low in High School

Undicesimo controverso album in studio per Morrissey, artista decisamente sopra le righe: Low in High School è destinato ancora una volta a spaccare in due fans e critica.

Morrissey

Low in High School

(BMG)

indie, pop-rock

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recensione Morrissey- Low in High SchoolMorrissey non è di certo un uomo che ha bisogno di tante presentazioni; quello che è certo è che siamo di fronte a un artista che, per un verso o per l’altro, riesce sempre a far parlare di sé, nel bene o nel male. E Low in High School, suo undicesimo lavoro da solista, non sfugge a questa logica, destinato ancora una volta a spaccare in due fans e critica, impegnati a disquisire sulla bellezza o bruttezza di una release più o meno all’altezza degli standard del songwriter mancuniano.

Low in High School è irriverente e sfacciato, nei suoni come nelle liriche: pur non abbandonando mai i tratti tipici della sua produzione precedente, riesce a suonare sufficientemente in linea con i tempi. L’apertura è affidata al glam rock di My Love, I’d Do Anything For You e al nuovo glitterato singolo I Wish You Lonely. Il dualismo lirico di ogni pezzo tocca il suo apice nel pop di Jacky’s Only Happy When She’s Up On The Stage e nella morbida Home Is A Question Mark.

Spent The Day In Bed è stata una scelta azzeccatissima come primo singolo: orecchiabile e con un testo ammiccante, è sicuramente il pezzo più radiofonico, ma anche quello che in un certo senso fa da spartiacque. Il pop-rock del lato A è pronto a lasciare il posto a un mix di sonorità che di sicuro allontanerà dalle menti di molti lo spettro di un finale di disco calante. Ma che ancor più certamente farà sorgere una serie infinita di punti interrogativi.

I Bury The Living è una specie di epopea rock sulla guerra di oltre 7 minuti, dark e inquisitoria, mentre The Girl From Tel-Aviv Who Wouldn’t Kneel fa alzare il sopracciglio con il suo incedere a ritmo di flamenco. All The Young People Must Fall In Love è una moderna versione di Give peace a chance di Lennoniana memoria, che introduce l’ancor più inatteso tango dell’inequivocabile When You Open Your Legs. Il finale è affidato alle sonorità elettroniche di Who Will Protect Us From The Police?, che rimanda immediatamente alla memoria l’episodio che ha visto Moz protagonista l’estate scorsa a Roma insieme al nipote e a un poliziotto in Via del Corso, e all’elegante Israel, dai toni decisamente meno accesi.

Il mondo di Morrissey, così come la sua musica, è fatto di continue prese di posizione, provocazioni, esternazioni di rabbia e dichiarazioni di appartenenza (o non appartenenza) a un mondo e una società che lo rispecchiano sempre meno. E il suo continuo saliscendi emozionale si traduce in elogi all’indolenza, inni pacifisti, invettive alla guerra, denunce sociali e proclami all’amore libero. Il tutto condito da un miscuglio di stili e influenze da far impallidire anche il più virtuoso dei musicisti. Se a tutto questo aggiungete la più totale incuranza del successo – o insuccesso – che il suo lavoro produrrà, avrete chiara la forza di ogni sua opera, fine a sé stessa, che a questo punto non ha bisogno di riscontri di nessun tipo per esigere il proprio posto nel mondo.

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Simona Fusetta
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