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Recensione MIT – Meet in Town Festival 2012 (Squarepusher, Afrika Bambaataa, Breton, Mouse on Mars)

Al MIT 2012 abbiamo visto in azione vecchie glorie come i Mouse on Mars e Afrika Bambata, redivivi come Squarepusher e le promesse (mantenute) dei Breton

MIT – Meet in Town Festival 2012

Roma, 9 giugno, Auditorium Parco della Musica

live report

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Fanatici di musica elettronica e delle sperimentazioni più o meno colte (ma purtroppo anche tanti tamarri) si incontrano ogni anno al MIT, Meet in Town Festival.

Con scelte sempre coraggiose, a volte astruse, ma sempre curiose, gli organizzatori mettono con passione e competenza insieme un cartellone in grado di soddisfare palati assai diversi fra loro, pagando comunque pegno a una location con tantissimi pregi, ma di certo non abituata a eventi di questo genere, con la conseguenza che security e personale dell’Auditorium si lasciano andare a un comportamento fuori luogo, intransigente e a qualche intemperanza di troppo.

Ma veniamo alla musica. La Cavea quest’anno è stravolta, col palco girato al contrario e la scalinata chiusa.

Afrikaa Bambaataa ne approfitta per scaldare il già numeroso pubblico delle 20,30 con un dj set in cui frulla in maniera divertente e divertita proprio di tutto, dal funk al soul, dai Bee Gees ai Kraftwerk (il cui campionamento abusivo di TEE gli costò un capitale per la causa intentatagli dalla band teutonica), per stupire il pubblico più stagionato col ripescaggio/manipolaggio di Andamento Lento di Tullio De Piscopo. Un MC a fare casino e a far salire le ragazze sul palco, un giovanissimo ballerino di break dance e un altrettanto giovanissimo scratcher completano il quadro di uno spettacolo mai geniale ma sempre godibile. (Voto 3/5).

La maggior parte del pubblico, però, è qui spinta dalla curiosità di vedere in azione dal vivo il technoterrorista di casa Warp: Squarepusher. Fresco di pubblicazione del mediocre Ufabulum, il concerto di Squarepusher è un otto volante nel quale il polstrumentista (cresciuto nel jazz e caduto nella tentazione della drum&bass) destruttura la materia elettronica per rimandarcela indietro in una serie di schegge impazzite. Le stesse schegge che illuminano il muro di led alle sue spalle e il casco che ricopre la faccia del “nostro”. Le origini jazz del musicista gallese rimangono nel suo gusto per la complessità degli arrangiamenti, ma la drum&bass delle origini diventa ben presto una drill&bass da cui il pubblico si farebbe ben volentieri trapanare i timpani, ma per la quale l’impianto dell’auditorium (comunque di qualità) non aiuta per generosità di watt. Uno spettacolo in crescendo, misteriosamente affossato da Tom Jenkinson (questo il vero nome di Squarepusher) con un involuto brano a base di un ultra-distorto basso elettrico imbracciato/stuprato e di cui non sentivamo il bisogno. (Voto 3,7/5).

Inutile e male illuminato il dj set di James Blake; il padrino del nuovo soul in salsa dubstep come mischia-dischi si perde in qualcosa di abbastanza convenzionale e quindi preferiamo dare spazio alle pubbliche relazioni in attesa di altro.

Che arriva con la furia Mouse on Mars. Presentano il loro recente Parastrophics, e anche stavolta techno, pop, kraut-rock, idm e ritmiche sbilenche si fondono a meraviglia. Con un guazzabuglio di cavi e spine che ci sarebbe voluto un machete per districarli, a sinistra e destra pile di campionatori, computers, sequencers, e altre diavolerie. Al centro lo scatenato batterista. E là dove fino a qualche anno fa i Mouse on Mars preferivano inserire nel loro frullatore Can, Neu, Faust e Kraftwerk, oggi hanno allargato i loro orizzonti e anche ritmiche hip-hop fanno capolino nel loro music-shake tanto elettronico quanto suonato. Comunque sempre in grado di entusiasmare. (Voto 4/5).

Tra le varie proposte in azione praticamente in contemporanea, non abbiamo dubbi e scegliamo la next big thing Breton. Scelta condivisa da assai poche persone, invece, dove la massa è probabilmente rapita da ritmi in cassa dritta. Ma si balla anche qui! Che diamine! Ma andiamo per ordine. I Breton. Il nome è un omaggio a André Breton, padre del surrealismo. Sono degli squatters dell’est-London. Sono dei videomakers. Sono degli artisti multimediali. Artigiani (non solo del suono). In due anni hanno pubblicato 3 Ep autoprodotti. E ora sono fuori con Other People’s Problem per la Fat Cat, che li ha fatti registrare nello studio dei Sigur Ros. E sono chiacchieratissimi. E a ragione. Tra i loro fans dichiarati ci sono Portishead e Massive Attack, anche se la loro musica non c’entra niente. O forse sì. Perché i Breton hanno lo stesso gusto per la destrutturazione che hanno i loro ammiratori illustri. Solo che i Breton si divertono a destrutturare hip hop, trip pop, ma soprattutto dance e punk, realizzando una ricetta musicale dal divertimento contagioso e dal virtuosismo spinto, in cui musica elettronica e musica elettrica hanno pari dignità, e in cui troviamo echi di Strokes, Klaxons, TV on the Radio e – soprattutto – dei troppo in fretta dimenticati Foals. Meno geniali e più divertenti dal vivo rispetto quanto sembrano su disco, i Breton sono una band destinata a durare, sul mercato e nei nostri cuori. Ne sentiremo parlare ancora a lungo. Scommettiamo? (Voto 4/5).

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Massimo Garofalo
Massimo Garofalo

Critico cinematografico, sul finire degli anni '90 sono passato a scrivere di musica su mensili di hi-fi, prima di fondare una webzine (defunta) dedicata al post-rock e all'isolazionismo. Ex caporedattore musica e spettacoli di Caltanet.it (parte web di Messaggero, Mattino e Leggo), ex collaboratore di Leggo, il 4 ottobre 2002 ho presentato al cyberspazio RockShock.
Parola d'ordine: curiosità.
Musica preferita: dal vivo, ben suonata e ad altissimo volume (anche un buon lightshow non guasta)

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