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Micol Martinez: Copenhagen

E’ un luogo dell’anima poliedrico e policentrico la Copenhagen raccontata dall’artista milanese nel suo album d’esordio. Rock dissonante, tenere ballads e abbracci di jazz per un viaggio notturno nel grande freddo

Micol Martinez

Copenhagen

(Cd, Discipline/Venus)

rock d’autore

[starreview tpl=16]

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recensione-micol-martinez-recensione-copenhagenE’ un’artista nel vero senso della parola, Micol Martinez. Pittura, scrittura, cinema e musica, of course, per lei pari sono. O forse no. Forse sono proprio le sette note il mezzo espressivo che più la rappresenta, l’approdo sicuro in cui rifugiarsi per raccogliere i propri pensieri, in cui tenere a bada “…un fuoco che ancora non trova pace…”.

Dj, pittrice, autrice di versi, attrice cinematografica (ha esordito da protagonista nel film di Vittorio RifrantiTagliare le parti in grigio”, miglior Opera Prima al Festival di Locarno 2007), la performer milanese è, infatti, soprattutto una cantautrice d’altri tempi, avendo accumulato esperienza e (ri)conoscenza anno dopo anno, ed essendosi guadagnata rispetto e collaborazioni (tra gli altri, Max Gazzè, Cristina Donà, La Crus) di palco in palco, concerto dopo concerto.

Questa apertura, questa voglia di condivisione, questi scambi empatici e virtuosi, li ritroviamo inevitabilmente anche in Copenhagen, il suo poliedrico e policentrico lavoro d’esordio, prodotto artisticamente dal grandissimo Cesare Basile e con la straordinaria compagnia musicante dell’ex Afterhours Enrico Gabrielli ai fiati, dei neo Afterhours Rodrigo D’Erasmo al violino e Roberto Dell’Era al basso, del Calibro 35 Fabio Rondinini alle percussioni e di tanti altri.

Nove tracce, poco meno di mezzora di musica rockmantica e dissonante, vellutata ed irta di aculei, lentamente jazz ed (in)variabilmente rock, in cui è il male di vivere ad essere sviscerato e scarnificato, compreso un tenerissimo riferimento alla triste storia di Eluana Englaro. Un lavoro che resta impresso nel suo complesso (anche se la splendida e liquida Stupore si staglia un gradino sopra le altre), inclassificabile e puro, prezioso e curioso come l’indole di ogni artista che si rispetti dovrebbe essere.

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Ivan Masciovecchio
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